La battaglia di Lepanto. Storia.


La battaglia di Lepanto. Storia.

ALLE DICIASSETTE del 7 ottobre 1571, in Roma, il papa pio V stava
esaminando i conti dello Stato con il tesoriere e alcuni prelati. Ma ad un
certo momento il papa interruppe il lavoro, si alzò e aprì una finestra: rimase
un momento immobile guardando verso oriente come se laggiù, lontano,
vedesse qualcosa. Poi si voltò e con il volto raggiante di gioia disse: << Signori,
smettiamo il lavoro e andiamo a ringraziare Iddio, perché in questo momento
l'armata cristiana sta riportando una grande vittoria >>. Detto questo si recò in
chiesa a pregare e ringraziare il Signore, tanto era certo di quello che una strana
ispirazione gli aveva suggerito. La notizia della << visione >> del papa si diffuse
nella corte papale. Ma passavano i giorni e non giungeva nessun messaggero a
portare l'attesa conferma. Molti già cominciavano a dubitare: solo il papa conservava
la sua serena sicurezza. Ed ecco due settimane dopo giungere di notte a Roma un
corriere, proveniente da Venezia. Portava un importante messaggio e fu subito ammesso
alla presenza del papa. Il messaggio diceva che la flotta cristiana s'era scontrata con
quella turca: la battaglia era avvenuta il 7 ottobre e s'era conclusa con la vittoria cristiana
esattamente alle cinque pomeridiane. Perché un papa aveva tanto a cuore le sorti di una
flotta da guerra da << sentire >> quello che le stava accadendo?

Il pericolo turco.

Ecco la risposta, che giustifica pienamente i sentimenti del papa: quella possente flotta
era scesa in mare non per difendere gli interessi di un singolo Stato, ma per difendere
tutta la cristianità e la civiltà stessa dell'Europa dalla minaccia dei musulmani.
Circa centoventi anni primi i Turchi avevano conquistato la città di Costantinopoli,
abbattendo così l'antico Impero Romano d'Oriente. Da allora la potenza turca aveva
continuato ad espandersi risalendo lungo la Penisola Balcanica. Venezia aveva dovuto
cedere ad una ad una tutte le isole dell'Egeo. Nella seconda metà del Cinquecento a
Venezia non restavano che due soli importanti avamposti nel Mediterraneo Orientale:
le isole di Creta e di Cipro. Nell'anno 1570 i Turchi assalirono quest'ultima.
Un'altra roccaforte della cristianità stava per cadere nelle mani degli infedeli. Venezia
ne avrebbe avuto un danno immediato, materiale, in quanto perdeva un'altra importante
base commerciale; ma anche gli altri Stati d'Europa, soprattutto quelli che si affacciano
sul Mediterraneo, e in particolare la Spagna, non potevano restare indifferenti di fronte
all'ingigantirsi della potenza turca, con la quale, prima o poi, si sarebbero inevitabilmente
scontrati. Non si poteva e non si doveva dunque lasciare che ancora una volta Venezia si
trovasse sola di fronte al potente nemico.

La flotta cristiana.

In seguito a ciò una flotta colossale si radunò a Messina; la componevano circa 202 galere,
delle quali 105 erano veneziane al comando di Sebastiano Veniero, 79 spagnole agli ordini
di Andrea Doria, 12 del papa guidate da Marcantonio Colonna, 3 del duca Emanuele Filiberto
di Savoia e 3 dei Cavalieri di Malta. Vi erano inoltre circa 30 navi minori (in parte spagnole
e in parte venete) e 6 potenti galeazze tutte di Venezia . L'equipaggio era composto da più
di 40 000 galeotti rematori, 13 000 marinai, 20 000 soldati di terra per metà italiani e per
metà spagnoli. Il comando supremo fu affidato a Don Giovanni d'Austria, figlio dell'imperatore
Carlo V.

Una storica battaglia.

A vele spiegate l'imponente massa di navi navigava nello Ionio per venti giorni alla ricerca
della flotta turca; finalmente, il 7 ottobre, presso Lepanto, nel golfo greco di Patrasso,
avviene lo scontro. È mezzogiorno. I Turchi, agli ordini di Mehmet Alì pascià, allineano
quasi trecento navi. Le due flotte prendono a vogare decisamente l'una contro l'altra, per
l'abbordaggio. Sparate le prime bordate, tutte le navi si agganciano fra loro, per permettere
ai soldati di balzare sulle folde avversarie. Sui ponti malfermi si accendono ferocissime
mischie, attacchi, ritirate e contrattacchi, come su un campo di battaglia terrestre.
Anche le due ammiraglie si combattono abbordate. I feroci giannizzeri turchi stanno per
sopraffare i cristiani. Allora Don Giovanni ha una geniale trovata: libera tutti i galeotti
della sua nave e li trasforma in altrettanti soldati che combattono strenuamente per
guadagnarsi la promessa libertà. Mehmet Alì si vede costretto a fare altrettanto; ma i galeotti
della sua nave, quasi tutti prigionieri cristiani, anziché dargli aiuto si scagliano sui loro
aguzzini e accelerano la rovina della nave. Lo stesso Mehmet Alì cade, ucciso da un colpo
d'archibugio. Poco dopo sul pennone dell'ammiraglia turca sale lo stendardo cristiano.
Sono le cinque della sera. È la vittoria. Centodiciassette galere turche furono catturate, più
di cinquanta colarono a picco; persero la vita circa ottomila Turchi e settemilacinquecento
cristiani. I cristiani liberarono 15 000 fratelli che erano incatenati alle navi musulmane.
Gli Stati cristiani non seppero sfruttare i vantaggi di una così strepitosa vittoria. L'armata
avrebbe dovuto proseguire la sua avanzata e, approfittando dello stato di confusione del
nemico, tentare la conquista di Costantinopoli; ma i capitani preferirono invece tornare al più
presto alle loro città per ricevere onori e festeggiamenti. Tuttavia questa sconfitta riuscì a

porre un freno ai programmi di conquista dei Turchi.

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