Con le mani nel sacco. Storia contemporanea.

Aramini Parri Lucia





Con le mani nel sacco. Storia contemporanea.

Le conseguenze dei furti e delle estorsioni a Pistoia nella tragica estate del 1944.

Del periodo bellico a Pistoia rimangono ancora oggi numerosi misteri da chiarire: uno di questi è la morte del partigiano e antifascista Silvano Fedi. Ufficialmente tutto ebbe origine da una strana vicenda accaduta nel luglio 1944, quando Fedi e i suoi compagni vengono informati che alcune persone, che si dichiaravano partigiani, facevano asportazioni illegali nella zona del “Bottegone”. Questi si presentavano armati nelle case di persone del posto e imponevano la consegna di merci e denari. Per evitare che la popolazione civile negasse l'appoggio che fino a quel momento aveva dato alla formazione, fu deciso di intervenire. Nel giro di poco tempo fu catturato un estorsore, che fece nomi di altre sei persone. Arrestate e interrogate, dichiararono di appartenere ad altre formazioni partigiane o a gruppi politici impegnati nella lotta. In un primo momento in base alle leggi di guerra si pensò di fucilarli. Fu però deciso che fosse più utile giungere ad un processo con la partecipazione di tutti i componenti del CLN. Il 26 o 27 luglio 1944 a Ponte alla Pergola si ebbe la seduta del tribunale di guerra cui parteciparono come giudici il dott. Vincenzo Nardi del Partito d'Azione, Gorino Gori, l'avvocato Ardelio Petrucci e un rappresentante della Democrazia Cristiana. Fu deciso, nonostante le gravi e provate accuse, di non condannarli a morte, perché la loro fucilazione avrebbe generato forti sentimenti nei parenti ed anche eventuali delazioni ai tedeschi. Si giunse a un compromesso: gli accusati avrebbero dovuto restituire tutta la refurtiva senza condizioni. I rapinatori si sarebbero dovuti incontrare con Silvano a Montechiaro il 29 luglio alle ore 14. L'incontro fu una trappola: Silvano e i suoi uomini caddero in agguato e lo stesso Fedi perse la vita insieme al partigiano Giuseppe Giulietti. È provato che la refurtiva fosse già stata quasi tutta restituita. Con molta probabilità Silvano aveva appuntamento con un'altra persona di cui si fidava e che poi invece lo tradì. A fine guerra, nell'aprile 1947, gli accusati furono processati a Firenze: dal dibattimento risultò che la banda fosse composta di undici persone di cui quattro abitavano nel Comune di Serravalle P.se, uno a Tizzana, i rimanenti nel Comune di Pistoia. La Corte d'appello ordinaria di Firenze nell'aprile 1947 comminò agli imputati condanne tra 6 e 12 anni di carcere. La triste vicenda delle ruberie aveva avuto tragici risvolti già prima del luglio 1944, anche se parliamo di fatti di tutt'altro tenore, legati in questo caso ad episodi di insubordinazione ai danni dei fascisti e dei tedeschi. La notte del 28 giugno a Valenzatico un gruppo composto da quattro persone venne intercettato da una pattuglia tedesca, mentre cercava probabilmente di asportare qualcosa da un magazzino della Rsi o della Wehrmacht. Seguì un conflitto a fuoco i cui gli italiani ebbero la peggio. Di questo gruppo facevano parte Ugolino Torselli, di professione cameriere, abitante in località Pierucciani Bottegaccia, nato a Pistoia nel 1914, Armando Niccolai, questurino di leva di Fornacette di Masiano, nato a Marliana nel 1923 e i fratelli Silvano e Italo Mangoni. Il Torselli pare che andasse in bicicletta a Valenzatico a comprare un fiasco di olio da una persona del paese. Dopo la sparatoria i quattro vennero catturati e portati insieme ad alcuni testimoni al comando tedesco di Villa la Magia a Valenzatico. L'accusa era tentativo di furto al comando e uso delle armi contro i tedeschi. Quast'ultimo reato era per le leggi di guerra punito con la fucilazione. Gli italiani chiamati ad assistere al processo erano Emilio Petracchi, Alfredo Fanciullacci e Mario Cateni. Il processo si concluse con la condanna a morte per fucilazione dei tre trovati armati, mentre Italo Mangoni che era disarmato fu portato a lavorare per i tedeschi. Il 29 giugno 1944 il Torselli, il Mangoni e il Niccolai alle pre 6 del mattino, furono fucilati sulla pubblica via a Valenzatico probabilmente vicino al comando tedesco. I primi due furono portati al cimitero di Piuvica e seppelliti. Armando Niccolai, all'epoca era milite alla caserma in località Bottegone in via Fiorentina, fu portato dagli stessi tedeschi all'interno del cimitero di Masiano e posto nella cappella. Fu poi sepolto dalla madre con l'aiuto di un amico dopo un giorno.

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