Espansione europea e imperialismo ecologico.
Mauro Goretti |
Espansione europea e imperialismo ecologico.
Importazione di materie prime e sviluppo industriale.
Così si esprimeva nel 1728 lo
scrittore e saggista inglese Daniel Defoe, autore delle celebri
avventure di “Robinson Crusoe” (1719).
Il commercio è la ricchezza del mondo;
il commercio stabilisce le differenze tra ricchi e poveri, tra
una nazione e l'altra; il commercio
alimenta l'industria, l'industria genera il commercio; il commercio
dispensa la naturale ricchezza del mondo, e il commercio fa sorgere
nuove forme di
ricchezza.
È difficile non condividere
l'entusiasmo degli uomini del '700 per tutto ciò che era legato ai
successi
delle attività mercantili europee: un
entusiasmo e un interesse testimoniato dalle numerose opere
contemporanee sul commercio della Gran
Bretagna. Ma proprio nel corso del '700 prese l'avvio
una nuova fase del dominio commerciale
europeo: accanto ai tradizionali generi di consumo voluttuario
(spezie, zucchero, tè, caffè, ecc.) l'Europa importerà sempre più
“materie prime” (come
il cotone) destinate ad alimentare il
nuovo slancio industriale.
Sviluppo europeo e arretratezza asiatica.
Si è molto discusso sul contributo
delle economie periferiche allo sviluppo dell'Europa e in particolare
alla nascita del capitalismo industriale. Più che l'entità dei
profitti e l'accumulazione
dei capitali, di cui è incerta la
misura e l'apporto diretto, appare decisiva la “conquista dei
mercati
mondiali” realizzata dall'espansione
europea nei secoli XVII e XVIII; mercati nei quali trovarono
sbocco i due successivi sistemi di
produzione europei, quello fondato “sull'industria a domicilio”
e quello fondato sulla “fabbrica”.
Fu lo sviluppo economico basato su questi sistemi produttivi ad
accentuare le differenze (fino allora
poco sensibili a livello di reddito per abitante) fra l'Europa e i
grandi imperi asiatici. In confronto a
un'Asia stazionaria nei redditi, l'Europa diventerà sempre più
ricca: una distanza che prefigurerà
quella contemporanea fra paesi industrializzati e paesi arretrati
o sottosviluppati. Un aspetto meno
noto e in genere trascurato del grande processo di espansione
europea è quello relativo alla sua
dimensione “ecologica”. In quale misura la conquista europea
ha cambiato l'ecosistema e l'habitat
dei Nuovi Mondi – America, Australia e Nuova Zelanda?
Mentre tutti conoscono gli apporti
dalle Americhe come la patata e il mais e, fra le malattie, la
sifilide, meno noti sono i cambiamenti che nella flora, nella fauna e
in genere sul piano biologico
il Vecchio Mondo ha determinato nel
Nuovo.
L'aspetto ecologico dell'espansione europea.
L'analisi di questa diversa espansione
europea consente di parlare di un vero e proprio imperialismo
ecologico. Gli agenti di
questo imperialismo furono in primo luogo i “virus” e i
“batteri”
delle malattie europee che si diffusero non solo dove il contatto con
le popolazioni indigene era costante, come in Messico e nelle
Antille, ma anche dove fu più occasionale e limitato,
come presso gli
indiani del Nord America, prima ancora degli insediamenti stabili
europei.
L'affezione più
fatale fu il “vaiolo” ma si rivelarono micidiali gran parte delle
malattie infettive,
anche quelle non
mortali per gli europei come il “morbillo”. Sempre dall'Europa
provennero le
cosiddette “erbe
infestanti” caratterizzate da una straordinaria capacità di
riprodursi. Nelle zone a
clima temperato i
semi portati dal vento crearono determinate distese di “trifoglio,
piantaggine,
gramigna,
ecc.”. Nonostante il nome la loro funzione è tutt'altro che
negativa; esse, anzi, proteggono il suolo dall'inaridimento e
rinnovano il manto erboso dove il pascolo è stato particolarmente
distruttivo. Furono queste erbe che accompagnarono e alimentarono il
moltiplicarsi
senza limiti del
bestiame europeo. L'America, l'Australia e la Nuova Zelanda non
conoscevano,
infatti, i
“cavalli, i bovini, le pecore, le capre e i maiali”: tutte queste
specie si diffusero a velocità
crescente,
soprattutto allo stato brado. Il clima era favorevole e i pascoli
abbondanti. Inoltre in
questi Nuovi Mondi
mancavano animali predatori di taglia sufficientemente grande da
insidiare
il bestiame
europeo.
L'emigrazione europea.
Fattori climatici
e ambientali simili a quelli europei, uniti alla scarsità e
debolezza delle popolazioni
indigene (i
pellirosse del Nord America, gli aborigeni dell'Australia, i maori
della Nuova Zelanda),
favorirono la
dilagante “emigrazione” europea a partire dai primi decenni del
XIX secolo nelle
zone temperate a
nord e a sud dei tropici. Il segno compiuto da questo imperialismo
ecologico,
che unì microbi,
piante, animali e uomini europei, è rappresentato dal fatto che oggi
tra i maggiori
esportatori di
derrate alimentari di origine europea si annoverano proprio quei
paesi (come gli Stati
Uniti, il Canada,
l'Argentina, l'Uruguay, l'Australia e la Nuova Zelanda) che cinque
secoli fa non
conoscevano né
gli animali tipici delle forme di allevamento europeo, né i cereali
del Vecchio
Mondo (frumento,
orzo, e segale).
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