L'epoca bizantina (parte due).

Mauro Goretti

L'epoca bizantina (parte due).

La restaurazione.

Nonostante tutto, la sorte sorrideva ormai a Cantacuzeno, e la morte di Alessio Apocauco gli aprì
le porte di Costantinopoli: così, il 3 febbraio del 1347, egli fece il suo solenne ingresso nella capitale, dove venne riconosciuto imperatore e tutore di Giovanni V Paleologo; pochi mesi più
tardi, il 13 maggio, ebbe luogo la cerimonia dell'incoronazione. Naturalmente, gli zeloti si rifiutarono categoricamente di considerare Giovanni VI quale sovrano legittimo e giunsero anche
a impedire a Gregorio Palamas, celebre mistico eletto metropolita di Tessalonica, di prendere possesso della sua sede. Alla fine del 1349, ormai al colmo della disperazione, essi tentarono poi
di consegnare la città al monarca serbo Stefano Uros IV Dusan, ma la fazione moderata, guidata
da Alessio Metochite, ebbe allora il sopravvento e si appellò a Cantacuzeno, mentre Andrea Paleologo fuggì in Serbia. Nel 1350 Giovanni VI, Giovanni V e Palamas entrarono in città.
L'ordine regnava di nuovo a Tessalonica.

Le ragioni dello scontro.

Nel 1913 Oreste Tafrali pubblicò uno studio dedicato alla vicenda degli zeloti nel quale sosteneva
che quella di Tessalonica non sarebbe stata una semplice rivolta, ma una vera e propria rivoluzione
nel senso moderno del termine, dotata di una sua ideologia e foriera di importanti riforme sociali.
Il lavoro di Tafrali ha conosciuto un grande e duraturo successo, e la sua interpretazione dell'episodio in questione è divenuta un punto di riferimento fondamentale negli studi di storia
bizantina. Recentemente, però, essa è stata messa in discussione dal celebre bizantinista polacco
Ihor Sevcenko (1922-2009). In effetti, la lettura degli eventi proposta da Tafrali si basa in larga
parte sulle notizie contenute in un trattato inedito dell'intellettuale “cantacuzenista” Nicola Cabasila:
ebbene, dopo averne offerto una magistrale edizione critica, Sevcenko ha dimostrato come tale
trattato non abbia nulla a che fare con la rivolta zelota e non parli assolutamente di riforme sociali.
Questo dato di fatto sembrerebbe dare ragione a quanti interpretano i fatti di Tessalonica unicamente nel quadro dello scontro fra i sostenitori del regime burocratico di Alessio Apocauco e
i seguaci di Cantacuzeno. È, tuttavia, si deve ammettere che, a causa della generale carenza di
fonti, e soprattutto dell'assoluta mancanza di documenti di parte zelota, risulta assai difficile fornire
un quadro sufficientemente preciso degli eventi (per esempio resta tutta da chiarire l'origine dei due
Paleologhi Michele e Andrea “leader” del movimento) e dei loro presupposti politici e sociali.
Resta comunque forte il sospetto che motivazioni di ordine sociale non siano del tutto estranee
all'esplosione della rivolta. Una conferma delle tensioni che innervavano l'impero bizantino alla
metà del XIV secolo è contenuta in un testo assai singolare: un breve dialogo, protagonisti del quale
sono i ricchi e i poveri di Bisanzio, che si immaginano riuniti a convegno per dirsi finalmente ciò
che non si sono mai detti. Autore dell'operetta, intitolata appunto “Dialogo dei ricchi e dei poveri”,
è Alessio Macrembolite, vissuto intorno alla metà del XIV secolo.

Un testimone oculare.

Nulla o quasi si sa della vita di costui, se non che la sua famiglia apparteneva alla colta aristocrazia
civile di Costantinopoli e che egli fu al servizio di Teodoro Patrikiotes, il principale esattore delle
tasse di Cantacuzeno. Patrikiotes era anche un “exisòtes”, uno di quei funzionari scelti dall'imperatore perché si occupassero delle perequazioni (exisòseis) delle proprietà fondiarie,
controllando la reale estensione delle terre date in “prònoia” (concessione di terreni ai cittadini
illustri, affinché li amministrassero e mettendo un freno agli abusi dei latifondisti: la loro azione
era fondamentale per l'impero, poiché il sistema della “prònoia” era strettamente legato al servizio
militare; e a ogni incremento di “prònoia” aumentavano in proporzione gli obblighi militari del suo
beneficiario. Macrembolite si trovò dunque, anche se per un breve periodo, a collaborare attivamente a un importante tentativo di riforma, che ebbe però un successo solo parziale e incontrò
notevoli resistenze; è da credere che proprio questa difficile esperienza lo abbia indotto a riflettere
sulla situazione economica e sociale dell'impero: il “Dialogo dei ricchi e dei poveri”, infatti, fu scritto nell'autunno del 1343, appena un anno dopo la morte di Patrikiotes.
Sono gli stessi anni in cui esplose la rivolta antiaristocratica degli zeloti a Tessalonica (1342).
Tale evento, quindi, non può aver influito sulla riflessione di Macrembolite e, in effetti, nel “Dialogo” sono presenti vari riferimenti, sia pure indiretti, ai tumulti tessalonicesi.

No alla violenza.

La posizione politica di Macrembolite, tuttavia, è ben lontana dall'identificarsi “tout court” con
l'estremismo degli zeloti, nemici di Cantacuzeno e vicini al suo avversario Alessio Apocauco: il
“Dialogo” non ha certo le caratteristiche di un “manifesto rivoluzionario”. Il punto di vista dell'autore è del tutto diverso si potrebbe dire opposto rispetto a quello dei ribelli. In linea con il
dibattito sviluppatosi proprio negli ambienti governativi legati a Giovanni Cantacuzeno, le proposte
contenute nel “Dialogo” sembrano costituire, nel loro complesso,un tentativo di approccio al problema della povertà e della disgregazione del corpo sociale bizantino che rifugga dalla teorizzazione e dalla pratica della violenza proprie dell'attività politica zelota.
D'altra parte, il tema delle condizioni dei poveri e dei diseredati all'interno della società e dell'obbligo morale e religioso di affrontare la situazione richiamandosi al concetto di “filantropia” è al centro delle riflessioni dei principali esponenti delle gerarchie ecclesiastiche bizantine (e degli
intellettuali a esse legati9 fin dal IV secolo d. C. Nel periodo tardo-bizantino la questione tendeva
però a mantenersi su un piano quasi esclusivamente teorico. In effetti, il “Dialogo” di Macrembolite si colloca in una temperie culturale che potremmo definire di “riformismo utopistico”
in cui, all'analisi del degrado della società bizantina, è abbinata una durissima condanna dell'azione
rivoluzionaria degli zeloti. Idea centrale dell'opera è la necessità di una collaborazione fra i ceti
medi che lasci intatta la struttura socio-economica dello Stato bizantino e, al tempo stesso, attraverso un sistema di tipo assistenzialistico,impedisca il generarsi di situazioni sociali esplosive,
tali da poter scatenare rivolte sul modello di quella zelota ( ma è sintomatico che nel Dialogo non
si accenni mai all'eventualità di rivolte o violenze da parte dei “poveri”, bensì soltanto all'ira e alla
punizione divina che colpirà l'arroganza dei “ricchi”).
Idee come queste non sono espresse solo da Macrembolite, ma sembrano assai diffuse nell'ambiente
di cui egli è parte. In effetti, gli intellettuali della tarda età bizantina riescono ancora ad analizzare
dal punto di vista teorico i grandi problemi sociali che hanno di fronte, ma non sono più in grado
di affrontarli sul piano pratico: di qui l'estrema loro tristezza e una certa sensazione di vuoto e inutilità. E, tuttavia, questi uomini non rinunziano a vagheggiare e a proporre utopie, nello strenuo
tentativo di trovare una via di salvezza per l'impero in pericolo.




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