Strumenti di scrittura e di calcolo in Babilonia.
Strumenti di scrittura e di calcolo in Babilonia.
Lo
straniero che, un millennio prima di Cristo, si fosse recato per la
prima volta in Babilonia, sarebbe rimasto stupito nel vedere, al
collo di tutti gli uomini, un singolare cilindro di piccole
dimensioni sulle cui pareti erano incisi dei caratteri. Forse gli
veniva spontaneo il chiedersi che strano amuleto fosse e da quali
mali preservasse: ma se avesse posto una simile domanda sarebbe stato
guardato come un uomo dalle conoscenze limitate. Quel cilindro non
era infatti solo un amuleto ma aveva anche una funzione molto utile.
Si trattava infatti di un “sigillo” personale, di cui i
Babilonesi si servivano per sottoscrivere lettere, contratti, assegni
o... cambiali.
Lo
strumento aveva, naturalmente, in alcuni casi delle dimensioni
proporzionate all'uso: il diametro era di dieci o quindici millimetri
e la lunghezza era quella di un dito; i materiali usati erano i più
vari: cristallo, alabastro, onice, agata, o marmi molto duri. L'uso
di queste sostanze preziose ci fa supporre che tali sigilli, oltre
all'uso pratico, servissero anche da monili, proprio come oggi una
bella stilografica d'oro fa bella figura nel taschino della giacca.
Come potevano gli incisori babilonesi eseguire un lavoro così minuto
su dei materiali tanto duri? Nei primi tempi della civiltà
mesopotamica, questo lavoro veniva eseguito con dei trapani ad
archetto; ma, verso l'ottavo secolo prima di Cristo, un ignoto
“ingegnere meccanico” inventò il tornio. Con questa macchina il
lavoro fu semplificato e divenne più preciso: l'opera della punta
veniva resa efficace con l'impiego di polveri abrasive, ricavate da
pietre durissime come il corindone: né più né meno di quel che
viene fatto oggi. Dall'osservazione dei sigilli trovati possiamo
desumere che si usavano due tipi di punte, una di forma adatta per
praticare incisioni arrotondate, l'altra per le linee diritte. Con
uno strumento così perfezionato gli incisori, soprattutto quelli di
Ninive, capitale dell'Assiria, poterono creare dei piccoli
capolavori, oltre ai caratteri della scrittura i loro sigilli
recavano figure di leoni alati, di aquile, di alberi, di stelle:
simboli che avevano, per chi li portava, il valore di amuleti.
Quaderni di argilla.
Su
quale materiale imprimevano i loro caratteri questi antichi popoli
della Mesopotamia? Questi uomini non conoscevano la carta ed anche
le pietre, nel loro Paese, erano una rarità. Tutte le scritture
venivano eseguite su delle molli formelle di argilla; appena fatta
l'incisione, la formella veniva posta in un forno e si trasformava in
una tavoletta capace di conservare indelebilmente le parole scritte.
Verso la metà del secolo scorso un archeologo trovò a Ninive
un'intera biblioteca formata da 30 000 tavolette di questo genere.
Questa biblioteca contiene, tutte impresse nell'argilla a colpi di
punteruolo, opere di medicina, di astronomia, di matematica, di
magia, cronache di storia e persino un lungo e bellissimo poema
epico. Era la biblioteca personale di Assurbanipal, il maggior
sovrano dell'Assiria, che regnò fra il 668 e il 628 avanti Cristo.
Un ingegnoso pallottoliere.
Vediamo
ora come se la cavano questi antichi uomini nel far di conto. Gran
commercianti quali essi erano, trovandosi continuamente alle prese
coi numeri, furono costretti ad escogitare un rapido strumento di
calcolo: e questo fu l'abaco. Teniamo presente che, come noi,
anch'essi avevano il numero 10 come numero base della numerazione.
L'abaco consiste in tre o più solchi o scanalature nelle quali si
possono allineare dei sassolini. I sassolini posti nella prima
scanalatura a destra avranno valore di unità, quelli della seconda
di decine, nella terza di centinaia. Proprio come le cifre dei
nostri numeri. Ed ecco come potevano eseguire una addizione.
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