Leonardo da Jacopo [Leonardo da Vinci].
Leonardo da Jacopo [Leonardo da Vinci].
Alcuni accenni storici.
La precisa data di nascita di Leonardo
era, sino a non molto tempo fa, ignota come, del resto lo sono
tuttora gli avvenimenti relativi alla prima parte della sua vita: ci
si basava, per determinarla, sulla portata al Catasto del nonno
dell'artista, Antonio di Ser Piero da Vinci, che nel 1457 dichiarava
la presenza in casa di << Lionardo figliuolo di detto Ser
Piero non legittimo, nato di lui e della Caterina al presente donna
d'Acattabriga di Piero del Vacca da Vinci, d'anni 5>> .
Solo nel 1931, lo studioso di cose
vinciniane, Emil Moller,
aveva la fortuna di scoprire nel registro di protocollo di protocollo
del bisnonno di Leonardo una annotazione ancora di mano del nonno
Antonio, sotto la data 1452 << Nacque un mio nipote,
figliuolo di Ser Piero mio figliuolo, adì 15 aprile. In sabato a ore
3 di notte. Ebbe nome Lionardo, battezzollo prete Piero di
Bartolomeo, Papino di Nanni Banti, Meo di Tonino Piero di Malvolto,
Nanni di Venzo Arigo di Giovanni Tedesco, monna Lisa di Domenico di
Bretone, nonna Antonia di Giuliano, monna Niccolosa del Barna, monna
Maria, figliuola di Nanni di Venzo, monna Pippa di Previcone>>
Nello stesso anno
della nascita di Leonardo, suo padre si univa in matrimonio con
Albiera di Giovanni Amadori, una giovane donna che, non avendo avuto
propri figli, fu certamente tenera madre per un bambino, quando le fu
portato in casa. Leonardo serbò dolce memoria di questa sua
matrigna, e più tardi intrattenne buoni rapporti di amicizia col
fratello di lei, Alessandro Amadori, canonico di Fiesole, che lo
chiamava affettuosamente: nipote. La quieta vita nel borgo natale
s'interrompe con il trasferimento della famiglia a Firenze. Morta la
buona matrigna, morto il nonno,
il giovane segue
il padre, passato a nuove nozze con Francesca Lanfredini, in città,
dove ben presto sarà allogato col Verrocchio. Era il Verrocchio
l'artista più originale e colto della Firenze di quegli
anni tra il 1470 e
il 1480: musico e matematico, dovette esercitare sul giovane allievo
un grande fascino, avviandolo a quelle curiosità enciclopediche, cui
naturalmente il singolare discepolo si sentiva portato. Sulla scorta
delle affermazioni vasariane, si è voluto attribuire all'influenza
del giovane taluni aspetti più nuovi dell'arte verrocchiesca: la sua
ricerca di modi che mitigano la drammaticità di Donatello, la
preferenza per movimenti armoniosamente risolti, l'amore per la
grazia elegante delle forme, per il sorriso appena accennato dei
volti, per certa aria trasognata e come assente delle figure
femminili. Molti critici, però, hanno ragionevolmente riportato
quanto sembra preleonardesco nel Verrocchio a un gusto che si
incomincia a diffondere nell'arte fiorentina circa il 1475 ed è
dallo scultore interpretato con sottile perizia attraverso gli
effetti di luce dolcemente degradante sulle levigate superfici dei
bronzi. E in questo momento, come ci vien tramandato, con gli esempi
del maestro sotto gli occhi. Leonardo ebbe modo di esercitare la
scultura <<facendo di terra alcune teste di femine che ridono,
e parimente teste diputti che parevano usciti di mano d'un maestro>>.
Così l'aneddoto vasariano circa la presunta rivalità tra maestro e
allievo, interpretato nel suo più verosimile significato, ci può
fornire una indicazione sull'attività del giovane artista,
incaricato dal maestro, sempre più preso dalla sua attività di
scultore, a sovrintendere ai lavori di pittura della bottega. <<
Acconciossi dunque, per via di ser Piero, nella sua fanciullezza
all'arte con Andrea del Verrocchio, il quale facendo una tavola, dove
San Giovanni
battezzava Cristo,
Leonardo lavorò un angelo che teneva alcune vesti; e benché fosse
giovanotto, lo condusse di tal maniera, che molto meglio delle figure
d'Andrea stava l'angelo di Leonardo; il che fu cagione che Andrea mai
più non volle toccar colori, sdegnatosi che un fanciullo ne sapesse
più di lui >>. Nella bottega del Verrocchio gli erano
compagni Pietro Perugino e Lorenzo di Credi; vi lavorava, inoltre,
più come aiuto d'Andrea che allievo, anche Sandro Botticelli,
ricordato da Leonardo in due note, che recano traccia delle vivaci
discussioni con cui si affrontavano i nuovi problemi dell'arte:
Quello
non sarà universale che non ama egualmente tutte le cose che si
contengono nella pittura: come se uno non gli piace i paesi, esso
stima quelli esser cosa di breve e semplice investigazione, come
disse il nostro Botticella, che tale studio era vano, perché col
solo gettare di una spugna piena di diversi colori in un muro, essa
lascia in esso muro una macchia, dove si vede un bel paese,
Alla proposizione di Botticelli, insensibile al fascino del
paesaggio, segue la risposta di Leonardo:
Egli è ben
vero che in tale macchia si vedono varie invenzioni di ciò che
l'uomo vuole cercare in quella, cioè teste d'uomini, diversi
animali, battaglie, scogli, mari, nuvoli e boschi ed altre simili
cose; e fa come il suono delle campane, nelle quali si può intendere
quelle dire quel che a te pare.
Ma ancora
ch'esse macchie ti dieno invenzione, esse non t'insegnano finire
nessun particolare.
Un'eco delle discussioni di bottega che, a distanza di anni,
ritornano vive alla memoria come mostra l'altro brano sulla
prospettiva di diminuzione, in cui Leonardo apostrofa direttamente il
suo compagno e amico:
Sandro, tu non
d' perchè tali cose seconde paiono più basse delle terze.
Abitua, intanto fin da questo tempo di tirocinio nella bottega del
Verrocchio, il suo spirito a quella disciplina interiore, che fisserà
poi come norma generale per chiunque attenda alle cose dell'arte.
Acciocché la
prosperità del corpo non guasti quella dell'ingegno, il pittore
ovvero disegnatore dev'essere solitario, e massima quando è intento
alle speculazioni e considerazioni, che continuamente apparendo
dinanzi agli occhi danno materia alla memoria di essere bene
riservate.
E se tu sarai
solo, tu sarai tutto tuo, e se sarai accompagnato da un solo
compagno, sarai mezzo tuo, e tanto meno quando sarà maggiore la
indiscrezione della sua pratica.
Uno dei primi precetti che detta a se stesso e al quale si atterrà,
come testimonia Matteo Bandello che lo conobbe a Milano, mentre
dipingeva il Cenacolo: << Soleva anco spesso, et io più volte
l'ho veduto e considerato, andare la mattina a buon'hora a montar su
'l ponte, perché il Cenacolo è alquanto da terra alto: soleva
(dico) dal nascente sole sino all'imbrunita sera non levarsi mai il
pennello di mano, ma scordatosi il mangiare et il bere, di continovo
dipingere. Se ne sarebbe stato dui, tre e quattro dì, che non
v'avrebbe messo mano, e tuttavia dimorava talora una o due ore al
giorno e solamente contemplava, considerava et esaminando tra sé, le
sue figure giudicava >>.
Questo isolamento, però, appartiene al momento creativo, quando,
com'egli dice, l'artista << è intento alle speculazioni e
considerazioni >>, chè, in altri momenti, non deve sfuggire la
compagnia degli altri e il loro giudizio:
Certamente non
è da ricusare mentre che l'uomo dipinge il giudizio di ciascuno,
perocché noi conosciamo chiaro che l'uomo, benché non sia pittore,
avrà notizia della forma dell'altro uomo, e ben giudicherà s'egli è
gobbo o s'egli ha una spalla alta o bassa, o s'egli ha gran bocca o
naso od altri mancamenti. Se noi conosciamo gli uomini poter con
verità giudicare le opere della natura, quanto maggiormente ci
converrà confessare questi poter giudicare i nostri errori, ché
sappiamo quanto l'uomo s'inganna nelle sue opere... Sicché sii vago
con pazienza udire l'altrui opinione; e considera bene e pensa bene
se il biasimatore ha cagione o no di biasimarti, e se trovi di sì,
racconcia, e se trovi di no, fa vista di non l'avere inteso; o,
s'egli è uomo che tu stimi, fagli conoscere per ragione ch'egli
s'inganna.
Lo
stesso Bandello narra come Leonardo, già maestro famoso, ricercasse
il giudizio critico sulla sua opera: << Erano in Milano, al
tempo di Ludovico Sforza Visconte Duca di Milano, alcuni Gentiluomini
del Monastero delle Grazie dei Frati di S. Domenico, e nel Refettorio
cheti se ne stavano a contemplar il miracoloso e famosissimo Cenacolo
di Christo con i suoi Discepoli, che allora l'eccellente Pittore
Leonardo Vinci Fiorentino dipingeva, il quale aveva molto caro che
ciascuno, veggendo le sue pitture, liberamente dicesse sovra quelle
il suo parere >>. Critica degli altri, continua riflessione,
diuturno studio, curiosità inesausta:
La mente del
pittore si deve del continuo trasmutare in tanti discorsi quante sono
le figure degli obbiettivi notabili che dinanzi gli appariscono, ed a
quelle fermare il passo e notarle, e far sopra esse regole,
considerando il luogo, le circostanze, i lumi e le ombre. Per ciò,
quando tu avrai imparato bene prospettiva, ed avrai a mente tutte le
membra ed i corpi delle cose, sii vago spesse volte nel tuo andare a
spasso di vedere e considerare i siti e gli atti degli uomini nel
parlare, nel contendere, nel ridere o nell'azzuffarsi insieme, che
atti sieno in loro, e che atti facciano i circostanti, spartitori o
veditori di esse cose, e quelli notare con brevi segni in questa
forma su un tuo piccolo libretto, il quale tu devi sempre portare
teco, e sia di carte tinte, acciò non l'abbia a scancellare, ma
mutare di vecchio in nuovo, ché queste non sono cose da essere
scancellate, anzi con grandissima diligenza serbate, perché sono
tante le forme e gli atti delle cose, che la memoria non è capace a
ritenerle; onde queste riserberai come tuoi adiutori e maestri.
In ogni epoca dell'anno, in ogni momento della giornata, la mente
deve essere sempre esercitata e volta al raggiungimento di quelle
conoscenze cui tende lo spirito:
Le veglie
dell'invernata devono essere dai giovani usate negli studi delle cose
apparecchiate la state, cioé si deve riunire insieme tutti i nudi
fatti nella state, e fare elezione delle migliori membra e migliori
corpi e metterli in pratica e bene a mente. Ancora ho provato essere
di non poca utilità, quando ti trovi allo scuro nel letto, andare
colla immaginativa ripetendo i lineamenti superficiali delle forme
per l'addietro studiate, o altre cose notabili da sottile
speculazione comprese, ed è questo proprio un atto laudativo ed
utile a confermarsi le cose nella memoria.
Altri lo rimproveri per questa dedizione completa alla su arte, per
questo suo ardore di conoscenza, e biasimi che anche i giorni festivi
egli impieghi in tali occupazioni. È voce di chi non si rende
conto, nella sua arida bigotteria, che questo è il miglior modo per
rendere onore alla divinità.
Sono infra il
numero degli stolti una certa setta, detti ipocriti, che al continuo
studiano d'ingannare sé ed altri, ma più gli altri che sé; ma in
vero inganno più loro stessi che gli altri. E questi son quelli che
riprendono i pittori, i quali studiano i giorni delle feste nelle
cose appartenenti alla vera cognizione di tutte le figure che hanno
le opere di natura, e con sollecitudine s'ingegnano di acquistare la
cognizione di quelle, quanto a loro sia possibile. Ma tacciono tali
riprensori, ché questo il modo di conoscere l'operatore di tante
mirabili cose, e questo il modo di amare un tanto inventore, perché
invero il grande amore nasce dalla gran cognizione della cosa che si
ama, e se tu non la conoscerai, poco o nulla la potrai amare. E se
tu l'ami per il bene che t'aspetti dalei, e non per la somma sua
virtù, tu fai come il cane che mena la coda e fa festa alzandosi
verso colui che gli può dare un osso, ma se conoscesse la virtù di
tale uomo l'amerebbe assai più, se tal virtù fosse al suo
proposito.
Ma con simili idee e con una vita schiava e solitaria, tutta volta ai
problemi dell'arte e della conoscenza, Leonardo incontrò
nell'ambiente fiorentino invidie e inimicizie, che si concretarono
nell'accusa di irreligiosità, di cui era ancora viva la fama ai
tempi del Vasari, e di una irregolare vita morale, come provano le
due denunce anonime presentate al magistrato, nel 1476, mentre era
ancora nella bottega del Verrocchio. Accusa, la prima, che si spiega
con la libertà e novità di atteggiamento dell'artista quale
traspare da numerosi passi dei suoi scritti, come, ad esempio dalla
nota sopra riferita; la seconda, di cui gli uffiziali preposti lo
assolsero, è probabilmente parto calunnioso di << uomo volgare
>> uso a << lanciar la sua pietra contro chi non veste i
suoi panni e non parla il suo linguaggio >>.
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