La cultura nel Seicento
La cultura nel Seicento
Il discorso galileiano
Il discorso galileiano
poiché è di Galileo che si parla si apriva
da premesse ancora
diverse,e diverse erano le traiettorie del
suo naturale progresso. La
cultura di tipo umanistico trovava
in Galileo un prosecutore
genialmente e radicalmente
irriducibile a qualsiasi
altro genere di sperimentazione,
poiché si allineava,fino
a immedesimarvisi,con la lettura
e l'interpretazione
diretta e corrente della realtà naturale,
abilitando nella nascente
prospettiva del mondo,della
natura e dell'uomo,prima
ancora che una nuova filosofia
fisica e
cosmologica,un'etica riformata,ossia l'assunzione
profondamente moderna
della posizione e della problematica
dell'uomo nell'universo.
Ossia,una misura "secolare" che,
senza emarginare la santa
religione,rivendicava la legittimità
piena e lineare del suo
metodo empirico e della sua mente
connessa e qualificata
attraverso la medesima empiria.
La cultura galileiana è
chiaro non nasceva in modo
assolutamente
improvviso;c'era un retroterra,più che
toscano o
italiano,internazionale,su cui fondava il suo
sforzo e trovava
l'occasione per il suo slancio.
La cultura copernicana
costituiva questa condizione.
Ma,per dirla con
l'illustre storico della filosofia
Antonio Banfi,l'"uomo
copernicano" si traeva dal
generico delle ispirazioni
e delle intuizioni per
giungere a definire i
propri connotati,e con essi,
i connotati
dell'insorgente concezione del mondo,
soltanto con Galileo.
Inutile ripete il valore spirituale
di questa cultura
galileiana. La medesima espressione
abitualmente adottata per
Galileo di nuova "concezione
del mondo" è facile
veicolo ad intendere la latitudine
e la totalità della
propsettiva galileiana,la qualità
impegnativa e
responsabilizzante al massimo della
"moderna"
cultura. Medicea sidera denominava Galileo
i corpi celesti,per
l'esattezza i satelliti del pianeta Giove,
frutto delle prime
ricerche e delle prime acquisizioni
astronomiche con l'aiuto
del portentoso strumento
ottico,il cannocchiale. La
dedica alla casa Medici
può apparire a tutta
prima una forma di cortigianeria.
Non era invece così.
Tutta la vita e l'opera di studio
di Galileo,fatta eccezione
per la non breve parentesi
di Padova e di Venezia,dal
1592 al 1610,fu legata al
principato mediceo,al suo
favore e aiuto continuo.
Aveva avuto inizio,questa
vicenda,ancora ai tempi
di Francesco,quando,nel
1585,dopo il primo tirocinio
di studio nella Facoltà
di Medicina di Pisa,aveva
fatto ritorno a Firenze
appena ventenne,dove continuò
con profitto le sue
indagini,tanto da meritare nel
1589 la cattedra pisana di
Matematica.
Furono anni di confronto
tenace ed assiduo
del suo metodo empirico in
via di rapida formazione
con la "scolastica"
vigoreggiante nella cultura
scientifica del
tempo,aristotelica e euclidea,
e tolemaica,confronto che
continuò a partire dal
1592 nell'Università di
Padova,mentre sempre più
serrato e coerente si
costituiva quel tipo di sapere
coltivato nel campo
matematico e tecnico-applicativo.
I tempi della maturazione
galileiana erano ormai
pronti al gran salto,al
passaggio cioè al campo della
Fisica e della Cosmologia.
L'occasione fu data
dalla tempestiva ed
efficace applicazione della
scoperta olandese della
nuova ottica a distanza,
concretata appunto nel
cannocchiale astronomico.
Dal 1609 al 1610 quello
galileiano fu un impegno
febbrile. Il "Sidereus
Nuncius",pubblicato nel 1610,
aprì la grande avventura
pubblica di Galileo.
Il ritorno in Toscana per
esplicito richiamo
mediceo e la nomina
conseguente alla cattedra
di Matematica dello Studio
pisano e quella di
filosofo del granduca
segnò il primo solenne
riconoscimento. Anche il
viaggio romano del
1611 confermò
trionfalmente la fama e il prestigio
dello scenziato. Fu con il
ritorno a Firenze che la
posizione galileiana
assunse modi apertamente
novatori rispetto alla
dottrica copernicana
(cosmologia eliocentrica)
di contro alla teoria
tradizionale di tipo
tolemaico (cosmologia
geocentrica),cui si
confermava la scienza
ecclasiastica nella sua
interpretazione delle
Sacre Scritture. Dal 1611
cominciò la polemica
a distanza (predica
antigalileiana del Domenicano
Lorini del novembre
1611,risposta apologetica di
Galileo nella famosa
lettera diretta al Benedettino
Castelli del dicembre
1613). Dal 1613 al 1615
la tensione fra le due
parti crebbe,nonostante i
tentativi di conciliazione
cui non mancarono
ne il principato (era
allora granduca Cosimo II)
ne alti ecclasiastici
della Curia romana.
Ma il momento essenziale
dell'intelligenza
reciproca venne a
mancare,e il 24 febbraio del
1616 la Congregazione del
Santo Ufficio
pronunciava la condanna
della teoria
copernicana,implicando con
questo atto la
squalifica della scienza
galileiana. Il monitum
romano a non insegnare o a
non difendere la
dottrina condannata,e la
promessa di Galileo
di conformarsi al dettato
romano,sono elementi
eloquenti. Il silenzio di
Galileo fu soltanto formale.
Nell'ospitale Firenze
medicea,con il coperto
ma efficace consenso del
principato (erano
gli ultimi anni del
granducato di Cosimo II,
mancato nel febbraio del
1621,e i primissimi
del granducato del suo
successore Ferdinando
II,sotto reggenza fino al
1627),Galileo continuò
intensamente i suoi studi.
Nel 1623 uscì il
"Saggiatore"
opera che,discutendo in polemica
con Gesuita Grassi,docente
nel Collegio Romano
delle origini delle
comete,reintroduceva e
dichiarava,ancor meglio
che in precedenza,
il nuovo metodo e la nuova
concezione scientifica.
Era la premessa al
desiderato lavoro sul
"Systema mundi",un
quadro sistematico
e in un certo senso
definitivo. Ma la condanna
del 1616 trattenne per il
momento Galileo
dall'affrontare uno
scontro che poteva essere
molto pericoloso. D'altra
parte,l'avvento al
granducato di Ferdinando
II,aperto fautore
del discorso galileiano,e
al Papato del pontefice
Urbano VIII (il cardinale
Maffeo Barberini)
ben disposto verso lo
scienziato toscano,
parvero offrire una
fortunata coincidenza
a tentare una nuova e più
impegnativa sortita.
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