Galileo Galiei, la svolta.
Galileo Galilei.
La svolta del 1604.
Il momento preciso in cui si compie il
trapasso dalla dinamica dei moti uniformi alla cinematica
dell'accelerazione non è noto con sicurezza. Di certo esso è già
compiuto alla fine del 1604, come è testimoniato da un celebre
quanto importante lettera a Paolo Sarpi, il teologo della Repubblica
veneta, con il quale Galileo aveva più volte avuto occasione di
discutere di questo ed altri oggetti, e che forse non è del tutto
estraneo al processo di chiarificazione delle idee galileiane sul
moto dei gravi. Il 16 ottobre 1604 Galileo dunque scrive:
Ripensando circa le cose del moto,
nelle quali, per dimostrare li accidenti da me osservati, mi mancava
principio totalmente indubitabile da poter porlo da assioma, mi son
ridotto ad una proposizione la quale ha molto del naturale et
dell'evidente; et questa supposta, dimostro poi il resto, cioè gli
spazii passati dal moto naturale esser in proporzione doppia dei
tempi, et per conseguenza gli spazii passati in tempi eguali esser
come i numeri impari ad unitate, et le altre cose.
Abbiamo qui un
primo punto al quale bisogna prestare molta attenzione: Galileo ha
osservato un certo numero di accidenti del moto di
caduta dei gravi, ed è alla ricerca di un principio (e occorrerà
aggiungere: di un metodo matematico) che permetta di unirli in una
teoria del moto. In altre parole, Galileo conosce già i risultati a
cui vuole arrivare; in primo luogo la legge oraria (gli spazi
percorsi sono proporzionali ai quadrati dei tempi) e la legge dei
numeri dispari (gli spazi percorsi in tempi uguali dall'inizio
del moto stanno tra loro come i numeri dispari); ma a questi non è
difficile aggiungerne altri, come la legge del piano inclinato (i
tempi di discesa lungo piani inclinati di eguale altezza sono
proporzionali alle lunghezze dei piani), la conoscenza della quale lo
aveva costretto qualche anno prima a troncare l'analisi ai rapporti
delle velocità, e aveva messo in crisi il metodo meccanico. Quello
a cui Galileo mira è la scoperta non delle leggi che governano il
moto, ma piuttosto di una teoria matematica che colleghi tra loro
risultati precedentemente acquisiti.
Il fatto in sé non
è sorprendente: sempre la sistemazione assiomatico-deduttiva di una
teoria segue l'acquisizione dei suoi principali caposaldi: non si
dimostra che quello che si conosce. Esso però apre un problema tra
i più dibattuti dell'esegesi galileiana: l'origine (sperimentale o
speculativa) delle leggi del moto. Si tratta di un problema che non
ha trovato ancora, credo, una risposta definitiva, anche se ha
registrato prese di posizione estreme: dall'immagine di Galileo
sperimentatore puro tramandata dal galileismo italiano già a partire
dall'Accademia del Cimento col suo motto << Provando e
riprovando >> ma soprattutto con le sue esperienze senza un
apparente filo conduttore, alla perentoria affermazione di Koyré: <<
la buona fisica si fa a priori >>.
Di fronte ai
giudizi così discordanti di tante autorità, ci asterremmo
dall'esprimere opinioni che per portare qualche nuovo contributo
devono essere sorrette da ricerche approfondite e specialistiche. Ci
limiteremo invece a notare come la critica più recente ha preso
qualche distanza dall'apriorismo assoluto di Koyré, rivalutando in
certa misura il ruolo dell'esperimento nella formazione delle leggi
del moto, e ciò specie dopo che una serie di brillanti lavori di T.
Settle hanno dimostrato se non altro
l'attendibilità
delle narrazioni di Galileo al riguardo, che non pochi studiosi
avevano forse un po' frettolosamente relegato tra gli espedienti
retorici. Nel caso che ci interessa, e cioè la legge oraria del
moto di caduta libera, la descrizione dell'esperimento è contenuta
nella terza giornata dei Discorsi: una pallina di bronzo viene
fatta cadere per diverse distanze lungo un piano inclinato /un
espediente per aumentare il tempo di caduta e dunque la precisione):
i tempi misurati pesando la quantità d'acqua caduta in un bicchiere
da un recipiente forato mostrano una relazione quadratica tra spazi e
tempi. Da questa esperienza plausibilmente Galileo ricava la legge
oraria del moto dei gravi. Si tratta senza dubbio non di una pura e
semplice osservazione, ma bensì di un esperimento progettato e
interpretato sulla base di una teoria preesistente, che consentirà
di inferire, a partire dai risultati di esperimenti condotti su uno o
due piani inclinati, delle leggi valide per il moto su piani di ogni
pendenza, come pure per la caduta libera. Allo stesso tempo però la
teoria soggiacente (la relazione tra momenti della gravità e
inclinazione dei piani e come corollario la similitudine qualitativa
tra i moti su diversi piani declivi) non limita a priori i risultati
possibili ma serve unicamente per estrapolare dai dati raccolti il
caso generale, cosicché l'esperienza descritta (e probabilmente
realizzata) da Galileo serve non per dimostrare una legge già
conosciuta ma per estrarne una dai dati sperimentali. Ma torniamo
alla lettera a Sarpi, ed al principio indubitabile che lì è per la
prima volta enunciato:
Et il principio è questo: che il
mobile naturale vadia crescendo di velocità con quella proportione
che si discosta dal principio del suo moto, v.g., cadendo il grave
dal termine A per la linea ABCD, suppongo che il grado di velocità
che ha in C al grado di velocità che ebbe in B esser come la
distanza CA alla distanza BA, et così conseguentemente in D haver
grado di velocità maggiore che in C secondo che ha la distanza DA è
maggiore della CA.
A
B
C
D
Haverò caro
che V.S. Molto Rda lo consider un
poco, et me ne dica il suo parere. Et se accettiamo questo
principio, non pur dimostriamo, come ho detto, le altre conclusioni,
ma credo che haviamo anco assai in mano per mostrare che il cadente
naturale et il proietto violento passino per le medesime proporzioni
di velocità.
Il
punto di partenza della scienza del moto accelerato è dunque la
proporzionalità tra la velocità e la distanza dal punto di inizio
del moto: un principio errato ma non privo di attrattive, al punto
che lo si ritrova in non pochi pensatori del primo Seicento. Sui
motivi della scelta galileiana sono state scritte non poche pagine,
tra cui quelle bellissime di Koyré: preminenza della geometria dello
spazio sull'esperienza temporale, centralità della teoria delle
proporzioni nella geometrizzazione del moto. È quest'ultimo un
motivo che percorre tutta l'opera galileiana, dato che Archimede
insegna non c'è altro modo di trattare matematicamente (dunque
geometricamente) delle grandezze, più precisamente di sistemarle in
una teoria quantitativa, che inquadrandole nello schema delineato nel
V e VI libro degli Elementi di Euclide. Ora la teoria delle
proporzioni è essenzialmente una teoria lineare, e dalla
costatazione che la velocità cresce al crescere dello spazio
percorso (vires acquirit eundo) all'ipotesi che essa cresca
proporzionalmente il passo è breve; direi quasi obbligato, a meno di
rinunciare ad una elaborazione matematica basata sul rapporto
velocità-spazio. A queste argomentazioni vorrei aggiungere una
terza, che coinvolge la questione centrale dello stato epistemologico
della nozione, o meglio delle nozioni di velocità.
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