Le comunità ebraiche e i ghetti


Le comunità ebraiche e i ghetti

Per gli ebrei toscani,come per i loro correligionari di tutta Europa,
non fu il Medioevo l'epoca della segregazione. Fino al XVI secolo,
infatti,gli Israeliti non furono mai sottoposti ad una residenza
obbligata;per loro non c'erano strade o piazze in cui vivere
segregati,e se finivano per abitare comunque nei medesimi
luoghi,lo facevano per quella naturale solidarietà fra persone
che condividono la stessa sorte ed esercitano le stesse
attività che hanno fatto sì che anche orafi e tessitori,
cardatori e maniscalchi abitassero nelle stesse vie.
La toponomastica cittadina,che conserva nomi di strade
intitolate o particolari attività artigianali,ci aiuta a ricordarlo:
non a caso,fino a qualche decennio fa,esisteva a Firenze,
in Oltrarno,una via dè Giudei. La condizione degli ebrei
toscani peggiorò con Il XVI secolo,in seguito sia all'aumento
del loro numero,dopo la cacciata dei loro correligionari
dalla Spagna e la conseguente diaspora,sia all'acuirsi
dei conflitti religiosi nell'Europa della Riforma e della
Controriforma. Proprio nel corso del Cinquecento papa
Paolo IV Carafa impose a tutta la cristianità un regime
di separazione per gli Israeliti,istituendo il regime del
"ghetto":questa parola (fra le ipotesi del suo etimo il
tedesco "gitter",inferiata,l'ebraico "get",divorzio,
e il più accreditato veneto "getàr",fondere,da cui
il nome dell'isola,sede delle fonderie della Serenissima
e residenza coatta degli ebrei),stette ad indicare il
quartiere,rigorosamente chiuso e sorvegliato,in cui
tutti gli Israeliti erano obbligati a risiedere,e comunque
a trascorrere la notte dopo aver compiuto i loro smerci
in città. Il Granduca Cosimo I,nel 1571,si adeguò alle
direttive pontificie ed anche la Toscana ebbe i suoi ghetti,
là dove si trovavano le comunità israelite. Il maggior
insiediamento ebraico in Toscana si ebbe a Livorno,
per effetto delle speciali leggi "livornine" volte ad
attrarre in quel porto franco minoranze etniche e
religiose particolarmente versate nei traffici commerciali,
quali erano appunto gli Israeliti.
Una piccola colonia ebraica si trovava anche a Pitigliano,
piccolo comune sulla strada fra Orbetello e Bolsena,
un tempo feudo degli Aldobrandeschi. Gli ebrei vi si
stanziarono nel XV secolo,fondandovi una sinagoga che
è stata restaurata nel Novecento. La comunità
locale mantenne buoni rapporti con la popolazione
anche nei periodi più critici per gli ebrei.
Non privo della sua importanza fu anche l'insediamento
israelita di Monte San Savino,in Val di Chiana,
cittadina di origine romana,ricca di splendidi
monumenti tardomedioevali e rinascimentali,a
lungo contesa da Arezzo e Firenze. Nel piccolo
centro si era insediata una fiorente comunità
ebraica,la cui esistenza fu sconvolta dall'insorgenza
dei "Viva Maria!",nel 1799. Le bande contrrivoluzionarie,
penetrate nella città,distrussero la locale sinagoga e
dispersero gli Israeliti. La persecuzione non fu dettata
soltanto da moventi religiosi,ma anche e sopratutto
dal fatto che tra gli ebrei erano numerosi i "Giacobini",
o comunque i filofrancesi. Il cammino verso
l'emancipazione degli ebrei,cominciato con Leopoldo I,
che concesse loro i diritti municipali,proseguì comunque
anche con la "restaurazione". Ferdinando III li sottopose
alle stesse leggi degli altri cittadini,ponendo le
promesse per la loro uguaglianza giuridica.
Leopoldo II concesse loro di entrare nella Guardia
civica,destinazione assai ambita,ma li escluse
dall'esercito,dalle cariche pubbliche e dall'avvocatura.
A demolire queste ultime barriere,emancipando del
tutto gli ebrei,che ormai non erano più obbligati
alla segregazione,ci avrebbe pensato l'Unità d'Italia.
Che però avrebbe comportato anche la fine di
una delle più pittoresche testimonianze della loro
presenza nella regione:il vecchio ghetto di Firenze,
fu demolito nell'ambito dei lavori di ristrutturazione
del centro. Il ghetto di Firenze,infatti,si trovava
nel cuore della città fra via della Nave,piazza
dell'Olio,e la loggia del Pesce,nei pressi del Mercato
Vecchio. All'origine era stato abitato da appartenenti
alle migliori famiglie cittadine:vi possedevano dimore
i Pecori,i Brunelleschi,persino i Medici. Con il
trascorrere degli anni,però,la condizione della zona
conobbe un continuo degrado,sia materiale che
morale. Già nel 1328 il Comune decise la costruzione
difronte a Santa Maria in Campidoglio del cosidetto
Gran Postribolo:un recinto di alte mura merlate entro
cui erano tenute a vivere le donne che esercitavano
il mestiere più antico del mondo. E su quelle mura,
per spregio,venivano dipinti i capitani di ventura
che si vendevano al miglior offerente con le
mercenarie dell'amore. Anche per tenere sotto
controllo una zona malfamata,oltre che per
adeguarsi alle direttive pontificie,Cosimo I affidò
al Buontolenti il compito di cingere di mura l'intera
zona,obbligandovi al soggiorno tutti gli ebrei fiorentini.
Alla sera le tre porte,una aperta sulla Loggia del Pecse,
l'altra sulla piazza dell'Olio,l'altra su via della Nave,
venivano sbarrate e gli Israeliti rimanevano chiusi
dentro,segregati,ma al tempo stesso protetti da
eventuali "pogrom",nel loro quartiere,reclusorio.
Quando fu recintato,il ghetto così sorto comprendeva
comunque due piazze,congiunte da un arco:la
piazza della Fratellanza,chiamata anche ghetto
nuovo,e la piazza della Fonte,intorno a cui ruotava
il ghetto vecchio. Nella prima si entrava dalla piazza
dell'Olio,mentre alla seconda si poteva accedere
o da via della Nave,o dalla piazza del Mercato.
Sopratutto il ghetto vecchio era una zona profondamente
degradata:famose,e famigerate,erano le cosidette
"cortacce":cortili bui e malfamati,dall'igiene
estremamente precaria,sovrappopolati,in cui
il sole faceva la sua comparsa soltanto in
pochissime ore del giorno,tanto più che una serie
di soprelevazioni aveva portato certi edifici ad
innalzarsi persino ad 11 piani. Così lo scrittore
fiorentino Bruno Cicognani,nato poco prima
della demolizione del ghetto,descriveva,nella
sua autobiografica "L'età favolosa",l'intero
quartiere:"Il ghetto:pauroso blocco corroso
dal lupus con orridi antri quasi impenetrabili.
L'aria corrotta,l'umidità colante dalle secolari
muraglie per le viùcole anguste,il sottosuolo
impregnato di fecce;il fittume della popolazione
in massima parte abbandonata nel sudiciume
ai propri istinti bestiali:forme di ragazzi laceri,
di femmine scarruffate e in ciabatte,d'uomini
in cenci con gli occhi scerpellati per la
congiuntivite". Non è certo una descrizione
incoraggiante,eppure anche questo luogo
profondamente degradato doveva possedere
un proprio fascino e una sua,forse sinistra,
bellezza. La bellezza degli antichi edifici
dalle volte gotiche sfigurati dalle soprelevazioni;
lo splendore del panorama cittadino che si
godeva dagli ultimi piani dei palazzi,una volta
avuta la pazienza di salirne le centinaia di
lubrichi scalini;e anche il fascino pittoresco
di un'umanità variopinta che non era fatta
soltanto di uomini e donne di malaffare,
ma anche di onesti commercianti,che la
mattina presto uscivano dalle porte con una
balla legata dietro la schiena per andare a
vendere tela d'Olanda e pezze d'Aleppo
agli abitanti della città e del contado.
Per strano che possa sembrare,per altro,
la cattiva fama del ghetto si sviluppò
maggiormente quando questo tornò a
non essere più tale;quando,cioè,l'intera
area non fu più una residenza obbligata
degli Israeliti,per divenire una "terra di
nessuno" aperta a tutti. Fino allora,infatti,
il ghetto era stato una sorta di repubblichetta,
che bene o male si era autogovernata.
Dopo l'emancipazione,gli ebrei di buona
famiglia i Lampronti,i Della Ripa,i Mondolfi
e i Fermi,arricchitisi con i commerci iniziarono
ad abitare fuori. Il loro posto fu preso da
gentaglia di tutte le risme,che vi si stabilì
sperando di trovare,all'ombra delle "cortacce",
una sorta di immunità. Come sempre succede,
il degrado chiamò degrado e dopo il 1848
anche il ceto medio israelita iniziò ad
abbandonare le antiche abitazioni testimoni
di quasi tre secoli di storia ebraica.
Nel ghetto rimasero le sinagoghe,ma nel
1864 la stessa Università israelitica abbandonò
il vecchio recinto disegnato dal Buontalenti e
10 anni dopo fu inaugurato,in via Farini,il
nuovo tempio ebraico,costruito in stile moresco
da Marco Treves e Vincenzo Micheli.
Visto queste premesse,non c'è da meravigliarsi
se gli amministratori fiorentini,mossi da quella
sollecitudine dell'ordine pubblico e del "decoro
cittadino" che ossessionò tanta parte della
classe dirigente italiana uscita dal Risorgimento,
decisero nel 1887 la demolizione del ghetto,
insieme a quella del quartiere del Mercato Vecchio.
Al loro posto sorse il complesso di palazzi in
stile,vale a dire,molto spesso,senza stile,
raccolto intorno a piazza della Repubblica,
allora piazza Vittorio,sormontata da un'iscrizione
in cui si celebrava la restituzione dell'antico
centro cittadino da "secolare squallore" ad
una "nuova vita". Ma fu veramente nuova vita ?
E,sopratutto,il ghetto e il Mercato Vecchio,con
i loro palazzi degradati ma carichi di storia,
rappresentavano soltanto un passato di secolare
quallore ? All'epoca,le opinioni parvero concordi:
l'ideologia del "piccone risanatore" aveva radici
profonde nella mentalità della borghesia
ottocentesca. La demolizione del ghetto fu
salutata come un trionfo del decoro,dei
"lumi",dell'igiene. Anche un cronista tutt'altro
che insensibile alle bellezze della sua città
come Giovanni Conti,nel suo volume "Firenze
Vecchia",salutò nella demolizione del ghetto
la scomparsa dal centro fiorentino di un
"avanzo di barbarie medioveale". Ma ben
presto ci rese conto del male che era stato
fatto,del tragico errore di privare Firenze di
una delle più ricche testimonianze del proprio
passato. Anche se,come succede sempre in
questi casi,era ormai troppo tardi.
 

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