La Riforma Agraria della Toscana.
La Riforma Agraria della Toscana.
L'ambizioso riformismo leopoldino
aspirava anche a
una diversa,e più
difficile,bonifica:quella della struttura
sociale e sopratutto delle condizioni
di vita dei ceti
contadini,cui non sempre il sistema
mezzadrile,aggravato
spesso dalle clausole vessatorie
imposte dai proprietari,
assicurava il necessario per vivere.
Fallito un tentativo
di riforma dei patti colonici,per le
resistenze dei ceti
possidenti e dell'Accademia dei
Georgofili,il granduca
Leopoldo,coadiuvato dal suo ministro
Francesco Maria
Gianni,tentò di risolvere il problema
favorendo
l'accesso alla proprietà del suolo da
parte dei
contadini. Nacque così il concetto
delle “allivellazioni”,
che avrebbe dovuto tradurre in atto
l'idea,per i tempi
rivoluzionaria,di dare “la terra
specialmente in mano a
chi lavora”. Si trattava,nelle
intenzioni del granduca,
di “allivellare”,ovvero di
concedere in affitto
perpetuo,con possibilità di
riscatto,il patrimonio
fondiario pubblico:beni
comunali,fattorie granducali,
beni ecclesiastici secolarizzati. In
particolare,
furono allivellate le fattorie
granducali di
Artimino,Panna,Castiglion della
Pescaia,Scansano,
Altopascio,Cerreto Guidi,San
Donnino,Careggi,
Castel
Martini,Antignano,Calappiano,Collesalvetti
e Casabianca. Anche le fattorie di
Vicopisano,
Bientina,Pianora,Pitigliano,Sorano,Castellottieri,
Pratolino,Lappeggi,Stabbia,Terzo,Ponte
a Cappiano
furono,in tutto o in parte,alienate.
Con una legge
del 1769,inoltre,venivano concessi in
proprietà
poderi in Maremma a chi fosse disposto
a stabilirvisi
per coltivarli. Nelle intenzioni di
Pietro Leopoldo,
i poderi granducali concessi a livello
avrebbero
dovuto essere ceduti solo a contadini
che
“gli lavorassero da per loro”:a
coltivatori diretti,
come si direbbe oggi. Intenzione del
sovrano
e del suo ministro Francesco Maria
Gianni era
infatti creare una nuova borghesia
agraria,cointeressata
dalla proprietà di recente acquisita
alla conservazione
dell'ordine costituito e in grado di
assumere
responsabilità nel governo locale. Le
cose,
in realtà,andarono diversamente,un po'
perché
i funzionari incaricati delle cessioni
erano legati
da comuni interessi ai ceti benestanti
interessati
all'acquisizione delle terre,un
po',anche,perché
gli oneri previsti,come il pagamento di
un
canone annuale ammontante al 3% del
valore
di stima degli immobili,non sempre
erano
sostenibili da braccianti e mezzadri.
Aristocrazia e borghesia agraria spesso
beneficiarono della politica granducale
più dei coltivatori diretti,cui in
certi casi,
come nella ripartizione della real
fattoria di
Ponte a Cappiano,solo il 28% toccò ai
contadini,
anche dove,come intorno a Castiglion
Fiorentino,
i beni ecclesiastici secolarizzati
furono concessi
a coltivatori diretti,questi finirono
talvolta per
trasferirli dopo un certo periodo nelle
mani dei
ricchi possidenti. Risultati positivi
comunque
non mancarono;e,in generale,la politica
riformistica
lorenese mise in moto un meccanismo di
miglioramento delle condizioni di vita
dei
contadini e di loro liberazione “dalla
servile
dipendenza colonica”,testimoniato
anche
dalla preoccupazione di far dotare i
nuovi
insediamenti di “case da lavoratore”
conformi
a moderni requisiti igienici,come
quelle a
schema “buontalentiano”(con torri
laterali e
arcate),che ancora oggi si possono
vedere fra
Rignano e Figline,nell'Alto Valdarno.
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