Tornei cavallereschi. Storia. Prima parte

Aramini Parri Lucia

Tornei cavallereschi. Storia. Prima parte

Saint Denis, il 30 giugno 1559, tre mesi dopo la pace di Cateau-Cambrésis, per festeggiare il matrimonio di Isabella di Valois con Filippo II di Spagna, si combatte una giostra. Il padre della sposa, il re di Francia Enrico II, partecipa al torneo. Saldo sul possente cavallo Malhereux (nome che sa di presagio), dono del duca di Savoia, sfida alla lancia Gabriel de Lorges, capitano delle guardie scozzesi e conte di Montgomery. Al secondo assalto, la lancia del re si spezza: il moncone penetra nella celata e fracassa le tempie, portando il re alla morte dopo pochi giorni di agonia. Enrico era stato imprudente? Certamente sì, in particolare se giudichiamo le sue azioni con il parametro di oggi, secondo cui un re o un governante che metta a rischio, per gioco, la propria vita, compie un'azione irresponsabile. Tuttavia quel combattimento (incruento nelle intenzioni, ma non privo di rischi) era in un certo senso dovuto e previsto dalla civiltà delle corti europee. Da un re, in quel tempo, non ci si attendeva che dovesse risparmiare la vita per continuare a governare i suoi sudditi: era fuori discussione piuttosto che non rispettasse un rituale e non si sentisse ancora partecipe dell'ideale cortese-cavalleresco e di alcuni elementi del mondo feudale parti fondanti e costitutive della cultura delle grandi corti. La morte di Enrico II di Valois commosse l'Europa; soprattutto, contribuì a trasformare definitivamente i tornei in parate di costumi e gualdrappe regolate da un cerimoniale strettissimo, quasi liturgico. Tornei e giostre furono sostituiti, in Francia come in Italia, da caroselli, esercizi militari a cavallo, giostre dell'anello o del saracino, dispute su argomenti mitologici o letterari, affini a rappresentazioni teatrali comprensive di declamazioni poetiche. D'altra parte, l'istituzione del torneo cavalleresco era già in crisi dalla fine del Quattrocento, epoca in cui aveva perso l'originaria componente guerresca per diventare un raffinato gioco di società, una manifestazione del prestigio del potere, sfarzosa nei costumi e nelle scene, con riti e di cerimoniali codificati.

Alle origini di un rito.

Sia il termine torneo che giostra hanno origine francese: il primo significa “roteare”, l'altro “avvicinarsi”, e danno entrambi il senso della procedura con cui venivano effettuati questi scontri. Fin dall'inizio, che possiamo addirittura datare all'VIII secolo, avevano carattere di combattimento condotto precise norme, tese a proteggere la vita dei contendenti, i quali dovevano battersi con onore e “cavalleria”, “nullo interveniente odio”, come raccomandava l'inglese Ruggero di Hoveden nel XII secolo. Fu ai suoi tempi che i tornei, nati presso i Franchi, si diffusero in tutta l'Europa occidentale, regolamentati dalle norme fissate da Goffredo di Preuilly (1015-1067). Poiché le campagne di guerra erano concentrate nella bella stagione, specialmente in primavera, d'inverno i cavalieri avevano bisogno di allenarsi in combattimenti che non fossero semplici esercizi, ma impegni più profondi e capaci di sollecitare la forza di volontà, l'ambizione, la tenacia. E anche la cupidigia, visto che spesso le competizioni mettevano in palio premi succulenti per i vincitori. Inizialmente, il torneo propriamente detto vedeva affrontarsi due schieramenti di cavalieri, come in una battaglia. La giostra nacque più tardi, come scontro ideale condotto fra coppie di guerrieri, sia a cavallo che a piedi, con svariate armi, a volte anche piuttosto bizzarre. Essa s'impose soprattutto a partire dal XV secolo, quando vennero stabilite norme più precise per proteggere la vita dei partecipanti, come l'introduzione delle barriere che dividevano le corsie dei cavalieri armati di lancia. Si organizzavano tornei soprattutto in vista di avvenimenti importanti, come matrimoni e festeggiamenti dei reali, durante i quali i cavalieri indossavano tenute sontuose, coloratissime e ricche di fronzoli, manti e cimieri che nessuno si sarebbe sognato di portare in battaglia. Si arrivò perfino ad allevare cavalli speciali, addestrati a sopportare i clamori e la confusione che li avrebbero circondati nel corso del combattimento.
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