Il Chianti non è tutto uguale.












Il Chianti non è tutto uguale.

Scegliere una bottiglia di Chianti non è semplice.
Non lo è stato neanche per noi quando abbiamo
dovuto selezionare il campione per il test.
Le variabili sono moltissime. Produttori dai
grandi numeri? Una garanzia in termini di
standardizzazione della produzione: se piace una
volta difficilmente deluderà l’anno successivo, ma
rischia di essere un vino non particolarmente
originale. Piccoli produttori? Tra le etichette di
nicchia si possono trovare veri e propri tesori, ma
  anche rimanere delusi tra un’annata e l’altra.
Allora come fare? Si può partire dalla conoscenza
del territorio e della sua produzione. Il Chianti
infatti è figlio di due consorzi separati (e non
proprio in buoni rapporti tra loro) e forse anche per
questo il vino toscano per eccellenza è in realtà un
mondo così variegato. Il consorzio del Chianti
Classico, il più antico, con i suoi 300 anni di storia:
fu fondato nel 1716 dal Granduca Cosimo III de’
Medici, che decise di delimitare con un bando alcuni
territori particolarmente vocati alla produzione
vinicola; raggruppa i viticoltori della ristretta zona
del Chianti, un’area collinare tra Firenze e Siena che
comprende pochi piccoli comuni. Il vino Chianti
Classico Docg si riconosce dal marchio del Gallo Nero.
Il consorzio del Chianti Docg, invece, raggruppa
viticoltori e vigne di una zona decisamente più ampia.
Al suo interno ci sono anche alcuni sottotipi come il
Chianti delle colline senesi, delle Colline pisane, Rùfina
I due consorzi hanno disciplinari diversi, cioè cambiano le
regole di produzione: il vino Chianti, al contrario del
Chianti Classico, prevede una minore percentuale di
Sangiovese e la possibilità di usare uva bianca (fino a un
massimo del 10%)  nel taglio del vino, cosa non permessa
nel Chianti Classico, preparato esclusivamente con uve
rosse. La gradazione alcolica del Classico deve essere
come minimo del 12% mentre il minimo è dell’11,50%
nel Chianti tout court. Un altro elemento da considerare è
l’invecchiamento: chi desidera bere un vino più rotondo e
corposo potrà orientarsi verso le bottiglie “Riserva”
(almeno 24 mesi) o “Gran Selezione” (almeno 30 mesi di
invecchiamento, prevista solo per il Chianti Classico.

La vocazione biologica.

All’interno dei due consorzi del Chianti anno dopo anno
sono sempre di più le cantine che si dedicano alla
produzione di vino biologico. Per questo anche tra i vini
del nostro test ci sono alcune etichette bio. Ma cosa
significa davvero acquistare un vino biologico?
Sicuramente è un prodotto risultato di una scelta
ambientale precisa da parte della cantina, obbligata
ad attuare solo le pratiche enologiche ammesse e a
porre una maggior attenzione nell’uso di fitofarmaci,
utilizzabili soltanto in casi molto particolari.
Dal punto di vista della presenza di solfiti nel vino,
invece, non abbiamo riscontrato particolari differenze
tra i prodotti bio e quelli convenzionali: sebbene le
regole sul bio ammettano un livello di questi conservanti
più basso rispetto al vino convenzionale, ormai anche la
produzione senza certificazioni tende a usare pochissimi
solfiti. Secondo le nostre rilevazioni sei bottiglie non
bio su dieci hanno un contenuto in solfiti addirittura
inferiore al valore più alto riscontrato nei vini bio.
Sperare in una minore quantità di solfiti, quindi, non
può essere l’unico motivo per scegliere un vino
biologico al posto di un vino convenzionale.

I fantastici quattro.

Il nostro test premia quattro bottiglie, due di Chianti
Classico Docg San Felice Il Grigio Riserva 2012 e
Badia A Coltibuono biologico 2014 e due di Chianti
Docg, Leonardo Riserva 2012 e Frescobaldi Chianti
Rùfina Riserva Nipozzano 2013.
Si tratta in tutti e quattro i casi di vini che sono stati
molto apprezzati dagli assaggiatori, con buoni se non
ottimi punteggi anche per quanto riguarda le analisi di
laboratorio, che hanno misurato la presenza di solfiti
(mai eccessivi), la quantità di zuccheri e l’acidità del
prodotto (entrambi in perfetto equilibrio).

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