Non si viaggia più con la carta....
Aramini Parri Lucia |
Non si viaggia più con la carta....
C'erano una volta
gli esploratori. Da Colombo a Livingstone, ogni missione, che poteva
durare anni, disegnava una mappa diversa. Oggi, ciascuno di noi
contribuisce a creare una nuova geografia. Fatta non solo di luoghi,
ma anche di tempi. Ed emozioni. Tutto in digitale.
Chi
è convinto che la geografia sia conoscere la localizzazione di un
luogo e la cartografia riportare tale luogo su una mappa, consigliamo
un breve giro in Internet. Dove alla parola geografia si trovano
associate infinite definizioni: esplorativa, positivista,
possibilista, quantitativa, radicale, comportamentale, umanistica,
culturale, semiotica... E soprattutto neo, neogeografia.
Neogeografia.
La disciplina è
così antica che già dal mondo greco i geografi si battevano con i
filosofi per il titolo di sapienti più sapienti. Ma se è arrivato
il momento di battezzarla “neogeografia” vuol dire che una
rivoluzione si è davvero compiuta. Siamo al tempo delle mappe sul
cellulare, dei navigatori in auto, dei voli low cost, di Google Earth
che mostra se il vicino ha parcheggiato in divieto di sosta. La
rivoluzione è così profonda da essere percettiva ed emozionale
oltre che pratica. Tradotto significa che è cambiato il nostro
approccio al tempo e allo spazio.
Nuovi avventurieri.
Prima esisteva un
sapere verticale. I grandi navigatori tra il '400 e il '500, da
Magellano a Cristoforo Colombo, hanno scoperto e battezzato nuove
terre e nuovi mari. Avventurieri di epoca più recente invece quelle
terre hanno voluto esplorarle armati di caschetto coloniale e
zanzariere: David Liningstone, il celebre esploratore scozzese, fu il
primo occidentale a raggiungere le Cascate Vittoria nel 1855 e a
presentarle al mondo, con un viaggio lungo il fiume Zambesi che durò
4 anni attraverso l'Africa. Oggi invece siamo tutti esploratori, in
tempo reale. Spesso senza saperlo. La geografia è diventata un
sapere orizzontale. Arriva da chi realizza mappe, ma anche
dall'iniziativa dei singoli che immettono in Rete un flusso continuo
di informazioni e dati. Localizzazioni di punti, sensazioni,
opportunità, servizi legati ai luoghi. Come un racconto di viaggio,
guidato da un elemento che nella “vecchia” geografia aveva poco
spazio, che nella “neo”, invece, ne ha molto: l'impressione
personale, l'emozione.
La rivoluzione.
Molti di noi sono
cresciuti associando alla parola geografia l'idea di un'ora noiosa a
scuola funestata dallo spauracchio dell'interrogazione sulla cartina
muta. Per i nativi digitali invece geografia è una freccia parlante
su un Tom Tom, un monumento in 3D su una app-guida turistica, un
link, un suono o un filmato che arricchiscono una Google Map. Ma
un'idea diversa di geografia e cartografia è nata prima dei dati
sotto forma di bit. Ne sa qualcosa un ingegnere inglese di nome
Henry Beck che, negli anni Trenta, inventò quello che oggi chiamiamo
“schematic graphic design”, che altro non è se non un modo di
disegnare le mappe, sulla base non delle distanze geografiche, ma
dell'uso a cui sono destinate. Senza che nessuno glielo avesse
chiesto, il giovane Henry disegnò una mappa della rete metropolitana
di Londra che sembrò a tutti sbagliata. Alcune stazioni, che
sorgevano a pochi metri di distanza l'una dall'altra, nel disegno
sembravano molto più lontane. Beck aveva disegnato una mappa per
semplificare la comprensione di chi l'avrebbe letta. Aveva tolto
dettagli inutili, modificato le distanze reali in base ai tempi di
percorrenza effettiva: avvicinava luoghi lontani che si raggiungevano
velocemente con lo stesso treno e allontanava luoghi fisici vicini se
non comodamente collegati. Senza saperlo, influenzò la cartografia
dei decenni a venire. Oggi gran parte delle mappe dei metrò del
mondo sono disegnate sul modello di quella londinese.
Fattore tempo.
Nuove mappe, fisiche
e mentali, vengono anche dai voli aerei che con il low cost hanno
cambiato il concetto di distanza. Oggi Praga è più vicina a Milano
di quanto non lo sia Perugia: un'ora e mezza di aereo (e 40 euro di
spesa) per andare nella capitale ceca, tre ore di auto (e 80 euro di
costo) per il capoluogo umbro. La geografia non descrive solo il
“qui”, ma il “da qui a li”. E come ci si arriva, in quanto
tempo, che cosa si trova e cosa si prova. E visto che l'elemento
personale conta così tanto nel ridisegnare il mondo che ci circonda,
ecco che qualcuno si spinge oltre. E crea mappe emotive dei luoghi.
Biomappe.
Di più, disegnate
dai battiti del cuore. È il caso di Christian Nold, un artista e
performer londinese che da anni lavora a un progetto di mappe
emozionali: applica ai volontari un sistema gps che registra anche la
sudorazione corporea e l'accelerazione dei battiti cardiaci, ovvero
la reazione della persona all'ambiente che la circonda. Collegando
questo sistema a Google Earth è così in grado di monitorare quale
zona della città è più tranquilla, quale mette più ansia, quale è
più stimolante e così via. Certo, le biomappe hanno il limite
della soggettività: se ho paura dei cani, quando anche solo sentirò
abbaiare comunicherò una sensazione negativa che però è solo mia.
L'idea non è peregrina e fa gola a molti per motivi commerciali. Se
il cuore mi batte davanti a una certa vetrina, ad esempio, ecco una
preziosa informazione di marketing... Che il primo luogo in cui si
forma la geografia sia il nostro cervello, ne è convinto anche Aris
Venetikidis, disegnatore di cartine che ha “risistemato” quella
del complicatissimo sistema di autobus di Dublino. In apparenza il
risultato non ha nulla di rivoluzionario: una serie di linee, molto
simile a quella della metropolitana. Ma elaborata a partire dalle
nostre mappe cognitive, influenzate anche dai luoghi che creano la
nostra storia. Se chiedete informazioni a una persona anziana
solitamente ve le dà in forma narrativa: “Vada dritto fino
all'emporio dove da trent'anni lavorava la mia amica Anna, poi c'è
la chiesa dove mi sono sposata nel 1967, il bar di Mario...”.
Mappe cognitive.
Non solo: il nostro
cervello tende a organizzare la conoscenza per linee rette e angoli,
eliminando tutte le informazioni non necessarie come curve e piccole
svolte. Così la strada principale di una nuova città sarà la
retta dalla quale cercheremo di arrivare a tutti gli altri punti,
sempre per linee rette e svolte a 90 gradi. Conoscere come “guida”
il nostro cervello, ha portato dunque a disegnare mappe che
semplifichino la nostra vita.
Confini.
Fino al 2005 solo il
15% del mondo era stato mappato. E naturalmente si trattava di una
mappatura concentrata nei Paesi più sviluppati. Un bel problema in
caso di emergenze. Così, quando nel 2008 un ciclone ha devastato il
Myanmar, gli aiuti dell'Onu non riuscivano ad arrivare perché non
esistevano né cartine stradali, né mappe che indicassero
l'ubicazione degli ospedali. In quattro giorni, 40 volontari di
Google armati del software Mapmaker hanno censito 120 mila chilometri
di strade e 3.000 ospedali. Gli eredi di Livingstone sono
esploratori tecnologici. Come Timothy Wang, giovane californiano di
origine cinese che fino al 2011 faceva il fotografo freelance. Da
quando Google lo ha assunto trascorre le sue giornate su un'auto a
fotografare ogni angolo della California. E ha ben 7 mila colleghi
che, in tutto il mondo, fanno il suo stesso lavoro. Google ha
cominciato a fotografare il pianeta nel 2004, comprando una piccola
società fondata da due fratelli svedesi, Lars e Jens Rasmussen. Da
allora non si è più fermata e alla fine del 2012 le sue mappe
coprivano il 75% del territorio abitato del pianeta e fornivano
indicazioni stradali accurate per 41 milioni di chilometri di strade
e sentieri. E oggi sta cambiando l'interfaccia delle sue mappe per
renderle più “emozionali”. Ma ora anche gli esploratori
professionisti come Wang rischiano di venire rottamati da una marea
di “dilettanti”. Ovvero, ciascuno di noi. Grazie al gps e allo
sviluppo di nuovi software, inviamo enormi quantità di informazioni
creando quella che viene definita geografia collaborativa. A prima
vista, il massimo della democrazia. Ma infuria il dibattito: questo
nuovo spazio tracciato e “navigabile” va considerato bene comune,
come l'aria, per intenderci, o è giusto, come accade, che i privati
ci guadagnino sopra? Forse non era più facile ai tempi di Colombo:
bastava toccare terra e piantarci una croce e una bandiera.
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