Il mio operare

Prof. Renzo Gialdini




IL MIO OPERARE
Fra le varie caratteristiche che contraddistinguono il Rapporto Analitico, la valutazione del tempo riveste, a mio avviso, una particolare importanza, potendo essere considerata una cartina al tornasole che consente di leggere una serie di fenomeni significativi. La persona sofferente all'inizio dell'Analisi, non è disposta ad accettare un senso del tempo analogo a quello di cui è portatore l'Analista. Una delle prime domande che l'Analizzando formula è quella relativa al decorso della cura. Le ore divengono la sua isola madre come nell'esperienza di Robinson Crusoe, la sua isola della speranza. Il mio sottopormi ad una lunga analisi personale mi rende emotivamente consapevole di queste opposte modalità di rapportarsi al tempo. Come mia analisi personale io ho sperimentato in passato tutta la pesantezza della sofferenza, intollerabilità di certi momenti, la mia anima ha conosciuto la sensazione di incrinarsi a causa dell'intenso dolore, desiderando di ridurre in fretta uno stato di profondo malessere divenuto insopportabile. Avendo personalmente tale condizione, so bene quanto a volte risultino sgradevoli e fastidiose le rassicurazioni, le esortazioni ad avere pazienza, come sia difficile lasciare che il dolore accumulatosi in segreto negli anni trovi finalmente una via di espressione. Tuttavia proprio soggettivamente l'avere percorso per lungo tempo questa via mi ha permesso di comprendere profondamente la necessità di rispettare i ritmi della mia anima. Una nuova concezione del tempo ha preso forma lentamente dentro di me quella con la quale io mi rapporto con gli Analizzando. Ciò che la persona sofferente porta nella mia sala analitica è una particolare condizione esistenziale che appare appesantita e limitata da fattori in apparenza estranei all'individuo. La durata della cura è agli occhi del paziente scandita dal tempo necessario ad allontanare da sé ciò che "inquina" la salute. Doppio problema: non solo in questo caso si proietta fuori da sé la causa del disagio ma la percezione soggettiva del proprio stato rimanda ad un criterio esterno. Se non esiste un "prima e un poi" se il disagio e salute sono due condizione che si intrecciano continuamente e che variano tutt'al più di intensità allora il tempo della "guarigione" non è un momento separabile da altri eventi. E' qualcosa che accompagna invece tutta la nostra esistenza, non diversamente dalla sofferenza. A differenza dell'uomo comune che trascorre i suoi giorni misurando continuamente il tempo sulla base di parametri esterni, io come analista vivo in dimensione temporale adeguata ai ritmi dell'Anima. Ma questa conquista non può essere compiuta dal paziente all'inizio del trattamento. Solo nel proseguire della terapia egli sarà in grado di pervenire ad una nuova coscienza della durata uscendo da un tempo finito per immergersi parzialmente in un tempo non lineare. Io Analista, ho già vissuto tale esperienza innumerevoli volte sia sul piano personale che su quello professionale. Ciò mi ha consentito di pensare la cura come un processo che esclude "ipso facto" l'idea del limite. La cura è legata alla crescita, alle trasformazioni che giorno dopo giorno l'individuo compie su di sé. Lungi dall'essere abolizione della sofferenza, essa è un lento apprendimento a vivere con le proprie ferite, con le proprie parti deboli, è accettazione di quel fondo di disagio di sofferenza cresciuta negli anni. Al paziente viene chiesto di mantenere regolarmente l'impegno di presentarsi alle sedute nel tale giorno e a tale ora, sedute che avranno un decorso e una durata fissata fin dall'inizio del contratto analitico. La delimitazione del tempo serve da contenitore il cui scopo è quello di mantenere vivo e significativo il contatto con la realtà oggettiva, esterna al setting. La sofferenza distrugge la cadenza abituale con la quale la quotidianità viene vissuta. Il tempo del dolore e dell'amore ha dei confini che corrispondono a quelli dell'anima e non a quelli del collettivo. L'ora analitica dovrebbe essere il luogo in cui è possibile aprirsi gradualmente a questa nuova scansione temporale, senza danneggiare la relazione con la realtà. Però quante volte ho constatato l'assurdità di certe delimitazioni temporali, quante volte mi sono accorto della crudeltà di interrompere il contatto con l'altro proprio nel momento in cui la sua anima aveva particolarmente bisogno di quello spazio. Forse anch'io tante volte sono stato vittima di una concezione collettiva ed esterna del tempo. Tutte le sedute hanno dei tempi fissati ma si dilatano e restringono a seconda dei contenuti emersi, dei silenzi e delle parole, a seconda dello stato d'animo. E' possibile in pochi minuti rivivere degli avvenimenti durati degli anni. E ciò vale per il paziente e per me che mi accorgo spesso di come una seduta appaia più lunga o più corta in relazione a ciò che il paziente ha portato. Naturalmente il tempo è soggettivo cioè il paziente viene ricondotto a relazionarsi in modo nuovo sia con la dimensione dei ricordi: il passato; sia delle speranze e dei progetti: il futuro. Rivivere il passato ed anticipare il futuro consentono alla persona sofferente di restringere o dilatare il tempo a proprio piacimento secondo le modalità proprie del proprio inconscio. Per capire come ciò possa accadere bisogna rifarsi alla concezione del tempo. Le teorie psicoanalitiche considerano il tempo oggettivo come una derivazione del tempo soggettivo. Il neonato conosce e vive solo in quest'ultima dimensione. La capacità di imparare a distinguere il fluire del tempo si forma all'interno della relazione del bambino con la madre chiamata Madre-tempo. La prima nostra esperienza di tempo è infatti scandita dai ritmi di gratificazione - frustrazione. Il tempo sarebbe inizialmente l'intervallo dinamico tra fame e sazietà Poiché, legata ad entrambe le situazioni, la madre diviene il primo essere che insegna al piccolo essere umano la nozione del tempo. Io ritengo che l'apprendimento del senso del tempo si basi sulla presenza o sull'assenza della madre. Il presente è il tempo in cui la madre è qui, cioè si trova insieme al bambino, la rappresentazione della sua assenza costituisce l'immagine del passato, mentre il futuro è il momento in cui ella ritornerà. Poiché il modello del Rapporto Analitico si fonda su quello primario, durante la terapia assistiamo ad un ritorno del tempo della madre. Assenza e presenza, frustrazione e gratificazione, sono innanzitutto delle profonde esperienze interiori. La percezione temporale è dunque in origine la percezione di una emozione. Io mi sento in dovere di tornare a quei vissuti per sbloccare il fluire del tempo, per ridargli nuovi orizzonti. L'intollerabilità del disagio scaturisce da un male oscuro, da una corrosione interiore che rimanda al tempo circolare delle emozioni al tempo circolare della Madre. Da un punto di vista psicologico potremmo in un certo qual senso intendere la contrapposizione tra tempo circolare e lineare come l'espressione di due diverse personalità: la prima inconscia fatta di emozioni, desideri, paure, ansie, amori, e il cui imprinting si è avuto durante il rapporto primario, e la seconda cosciente, portatrice invece dell'immagine più esteriore dell'individuo legata alla dimensione del sociale. L'acquisizione di un tempo oggettivo, di un ritmo esterno è anche il riconoscimento di una legge che sovrasta e regola la realtà individuale. All'interno di questa dimensione, la sofferenza con l'individualità dei suoi vissuti non può trovare spazio. Vivere con queste due differenti percezioni può portare in alcuni casi ad una situazione di conflitto. E' come se la persona si trovasse divisa tra la soggettività delle sue sensazioni che, con la loro ritmicità, regolano in maniera personale il tempo e l'oggettività che scandisce a livello collettivo la vita, il tempo degli impegni, dei "si deve". Quando ad esempio un rapporto affettivo è travagliato da liti ed incomprensioni, quando mille emozioni, dal desiderio alla gelosia fino all'odio, si mescolano in un turbinio di stati d'animo, è difficile mantenere il proprio autocontrollo, relegando il dolore in un luogo dell'anima e continuare a vivere e lavorare come se nulla fosse accaduto. Se tuttavia lo sforzo riesce, l'individuo si trova scisso in due persone differenti: mentre una, quella esterna, assume la durezza e l'impassibilità che il mondo richiede, l'altra invece va a pezzi perché vorrebbe gridare, umiliarsi, piangere ed esprimere la propria paura. Il compito mio non è quello di abolire una dimensione a vantaggio dell'altra, ma di armonizzarle in una sintesi che consenta al paziente di vivere con gli altri senza rinunciare o tradire il suo mondo interiore. Perché ciò accada è necessario che io abbia attraversato questo conflitto, che anche io abbia conosciuto il desiderio e la difficoltà di esprimere i lati più segreti dell'essere. Solo in questo modo io posso trovare parole adatte a raggiungere l'anima del paziente. Aprire all'Analizzando una nuova dimensione di esistenza, nella quale anche il senso del tempo è diverso, richiede che io sia veramente portatore di un alternativa di vita. Decidere di affrontare la tempesta anziché fuggire rimovendo il problema, non è facile. Avere il coraggio di affrontare fino in fondo la situazione, immergersi in essa accettando il rischio di essere sommerso dai sentimenti, se comporta non poca sofferenza, consente però di ampliare lo spazio vitale della propria anima. La strategia operativa che io metto in atto nelle diverse situazioni, può raggiungere dei grossi risultati soltanto se è sostenuta dalla mia personalità. Per un Analista ciò non coincide con la corretta attuazione di una tecnica, dal momento che non esiste uno stile oggettivo, astratto, al quale ognuno debba uniformarsi, esiste la spontanea e libera forza creatrice di chi è veramente artista e sa di volta in volta creare la propria più efficace e conveniente forma espressiva. Qualsiasi intervento terapeutico deve essere il risultato di una conquista personale ottenuta attraverso il passaggio e l'accettazione della sofferenza e delle proprie contraddizioni. In caso contrario il terapeuta infliggerà tremende ferite al suo paziente.

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