I Tornei Cavallereschi. Terza Parte.
Aramini Parri Lucia |
I Tornei Cavallereschi. Terza Parte.
Durante i tornei, i
cavalieri affrontavano vari tipi di sfide, a piedi o a cavallo, in
“singolar tenzone” o in gruppo. Anche le armature cambiavano,
secondo i diversi rischi che si dovevano affrontare.
1)
L'elmo era l'elemento più importante dell'armatura da torneo,
arrivando a pesare fino a 10kg, il doppio di un elmo da guerra.
2)
La forma particolare dell'elmo da torneo consentiva la visione solo
inclinandosi in avanti: alzandosi immediatamente prima dell'impatto
con la lancia avversaria, si impediva che la sua punta penetrasse
nella feritoia.
3)
Il lato sinistro dell'armatura da torneo era il più esposto: proprio
per questo veniva rinforzato con particolari piastre aggiuntive.
4)
In alcuni combattimenti si usavano armature da guerra appositamente
adattate: per le sfide a piedi venivano, per esempio, indossate
armature sensibilmente più leggere.
5)
Era proibito colpire il cavallo dell'avversario durante un torneo, ma
tale era il suo valore che spesso veniva anch'esso protetto da
corazza, per evitare incidenti.
6)
Particolare attenzione era posta alla protezione degli occhi
dell'animale, che venivano anche coperti per impedire che si
spaventasse.
Armature alla milanese.
Le numerosissime
armerie esistenti nei castelli e nei musei italiani custodiscono
ancora oggi un inestimabile patrimonio di armature, frutto del lavoro
dei nostri abilissimi artigiani, specialmente milanesi. Almeno
altrettanto numerose sono quelle che si possono trovare all'estero,
tanto ricercate erano le loro opere. Nel Cinquecento, in
particolare, si era diffuso il torneo “all'italiana”, e questo
aveva ulteriormente incentivato le richieste dei nostri manufatti.
Nell'immaginario di noi moderni, questo tipo di sfida è venuta a
coincidere con il torneo in quanto tale: quello dove due cavalieri si
caricano, separati da una barriera che impedisce lo scontro fisico.
I contendenti potevano colpire solo il lato sinistro dell'avversario,
e questo comportava la necessità di difenderlo con lastre di
rinforzo: all'elmo, per esempio, si aggiungeva il “guarda viso”,
e le prese per l'aria erano aperte solo sul suo lato destro, dove non
rischiavano di rappresentare un punto debole. Particolare attenzione
era posta nella difesa del gruppo spalla-braccio, cui venivano
sovrapposti il voluminoso e pesante “spallaccio”, il “guarda
braccio” e la “targhetta”, la cui forma era studiata non solo
per reggere gli urti, ma soprattutto per difletterli. Il gomito era
protetto dalla “sopracubitiera” e la mano dalla manopola da
lancia. Limitate, se non addirittura assenti, le protezioni per le
gambe, già coperte dalla barriera che divideva gli sfidanti.
Battersi e figurare.
In una testimonianza
relativa a questa giostra viene ricordato come nel combattimento si
affrontavano sempre un nobile e un militare: ai nobili, che
partecipavano ai tornei per tradizione e per gusto, erano
contrapposti avventurieri e uomini d'arme, alcuni non avevano neanche
un nome, ma si servivano di un soprannome, come Strazzacapa o Zorzino
(il quale, per inciso, nella giostra di Reggio vinse per aver
disarcionato l'avversario). In giostre di tal genere la presenza
dell'aspetto militare resta forte, perché in origine il potere delle
signorie è ancora strettamente legato all'attività bellica e
all'educazione guerresca dei delfini. Lo stesso Ercole d'Este era
stato soldato: aveva combattuto, dieci anni prima, la battaglia della
Molinella restandone zoppo, aveva servito in armi, da giovane, a
Napoli. Matteo Maria Boiardo, suo poeta ufficiale di corte, ricorda
come avesse messo in fuga il conte di Venafro. Nelle descrizioni
letterarie del Cinquecento, invece, l'aspetto mondano avrà la netta
prevalenza sull'azione. Così per esempio nel Cortegiano di
Castiglione “il nostro cortegiano giostrando porrà cura d'aver
cavallo con vaghi guarnimenti, abiti ben intensi, motti appropriati,
invenzioni ingegniose, che a se tirino gli occhi come calamite al
ferro”, e la giostra di armati rappresenta il momento centrale e
conclusivo di un rituale drammatico molto complesso. Spiccano nelle
cronache i dettagli sulle cerimonie preparatorie, su armature, scudi
e blasoni dei cavalieri in gara ed è infatti in questo periodo che
si sviluppa l'araldica, scienza fra le più esatte, circostanziante e
impenetrabile per i profani. La regolazione delle contese sarà
assunta dai duelli, tramite cui l'etica cavalleresca troverà una
nuova norma, minuziosamente disciplinata da trattati. All'apogeo del
Rinascimento si compiva, per i tornei, il destino segnato nel nome
del destriero di Enrico II: “le Mahereux”, lo sventurato.
Commenti
Posta un commento
Ciao a tutti voi, sono a chiedervi se avete preferenze per Post di vostro interesse
in modo da dare a tutti voi che mi seguite un aiuto maggiore, grazie per la vostra disponibilità.