Un secolo di lotte per l’egemonia in Europa.
Mauro Goretti |
Un secolo di lotte per l’egemonia in Europa.
L’assolutismo di Luigi XIV.
La presa al potere.
Nel 1661, alla morte del cardinale Mazzarino, che aveva tenuto il governo della Francia in nome del
giovane re Luigi XIV prese il potere
interamente nelle sue mani. Per oltre 54
anni, fino alla morte avvenuta il 1 settembre 1715, avrebbe regnato sulla
Francia dominando l’intera scena europea.
Non fu un periodo di pace, perché per trent’anni la Francia fu in
guerra, spesso contro quasi tutto il resto d’Europa. Non fu un periodo di benessere per il popolo
francese, colpito da ricorrenti carestie e vessato da una dura imposizione
fiscale, causa di frequenti rivolte popolari.
Ma fu un periodo di <<gloria>> uno dei valori più apprezzati
e celebrati dai ceti superiori della società del tempo. La gloria legata all’audacia delle gesta
militari si accompagnò al rafforzamento della monarchia e ispirò molte
iniziative del sovrano. Anche se l’aggressiva
politica estera francese fu a più riprese contenuta (ma mai definitivamente
sconfitta), Luigi XIV riuscì a consolidare “l’egemonia continentale” della
Francia e si impose come modello a tutti gli altri sovrani assoluti. L’egemonia della Francia ebbe anche altri
connotati: in quegli stessi anni, infatti, il francese si affermò non solo come
la lingua della diplomazia, ma anche come lingua parlata e scritta e sistema
privilegiato di comunicazione di tutta l’élite nobiliare dell’Europa
centro-orientale. Nel 1661 terminò
dunque l’epoca dei grandi ministri che avevano guidato la politica francese per
quasi un quarantennio. Luigi XIV accentrò nelle sue mani il
governo dello Stato circondandosi di ministri e collaboratori capaci, ma senza
rinunciare mai al suo diretto intervento nelle principali questioni. La carica più importante fu quella del
“controllore generale delle finanze”, che estendeva la sua giurisdizione a
tutti gli aspetti della politica interna.
Dal 1665 al 1683 Jean-Baptiste
Colbert (1619-1683) ricoprì questo ruolo e fu il principale collaboratore
del re e l’ispiratore della politica economica.
L’accentramento e gli intendenti.
L’accentramento amministrativo si espresse nell’impiego di funzionari di
origine borghese e di recente nobilitazione (nobiltà di toga) alle dirette
dipendenze della corona, gli “intendenti”, che videro aumentati i loro poteri e
le loro competenze. Questa politica
consentiva di superare, a vantaggio del potere centrale, le difficoltà
derivanti dal sistema della “venalità delle cariche”: sistema in base al quale
gran parte delle cariche amministrative e giudiziarie potevano essere
acquistate e vendute (in questo senso erano <<venali>>), ma
soprattutto trasmesse in eredità, circostanza che le sottraeva al diretto
controllo del sovrano.
La nuova reggia e la società di corte.
Ma il <<capolavoro>> dell’assolutismo di Luigi XIV fu la reggia di Versailles, sia perché vi fu
concentrato tutto il potere, sia per la <<rappresentazione>> del
potere che vi si svolgeva. La
costruzione di una nuova reggia in una località distante una ventina di
chilometri da Parigi, dove la corte e il governo si trasferirono nel 1682,
sottrasse la monarchia agli eventuali pericoli di sommosse cittadine. L’obbligo imposto alla grande nobiltà di
risiedervi e i vantaggi che essa ne trasse, in termini di pensioni e di
donativi, sancirono il definitivo
asservimento dell’aristocrazia proprio mentre ne assicurava i privilegi
e la distinzione di ceto. La vita a
corte era regolata da rigide prescrizioni “l’etichetta” e da un complesso
cerimoniale fondato su una minuta scala di precedenze. L’etichetta, che peraltro era solo uno degli
effetti di una più generale opera di disciplinamento sociale promossa
dall’assolutismo, fu la rappresentazione simbolica della nuova gerarchia del
potere e della <<distanza>>, ormai codificata in innumerevoli
livelli, fra il re e i vari esponenti della nobiltà: il sovrano non era più
<<il primo dei gentiluomini>>, un “primus inter pares” (primo fra
pari) come voleva l’antica concezione nobiliare ma l’artefice principale di un
sistema di distinzione gerarchica, duramente contestato dai difensori della
tradizione.
Una cultura ufficiale.
L’esercizio di un dominio assoluto fu accompagnato dalla
ricerca di tutto ciò che poteva accrescere il prestigio della Francia e del suo
re. Se infatti Luigi XIV aveva scelto il Sole
come proprio emblema (sarà infatti chiamato il Re Sole), il suo regno doveva trarre sempre nuovo splendore dalle
iniziative del sovrano. In questa
prospettiva va inserito il “patrocinio delle arti e delle scienze” promosso dal
re e da Colbert. Scrittori, letterati e
uomini di teatro (come Molière e Racine) furono protetti e stipendiati. Il re e i suoi ministri favorirono la
formazione di una “cultura ufficiale”, fortemente celebrativa che, in quanto
tale, non poteva tollerare voci dissenzienti: così venne esercitata
attentamente la “censura”, furono perseguitati gli autori di opposizione e
distrutti i loro scritti. L’esigenza di
uniformità e di controllo investì anche quei settori della vita religiosa e dell’organizzazione
ecclesiastica che presentavano aspetti di difformità, diversità o
dissidenza. Fu dunque per ragioni
essenzialmente politiche che vennero perseguitati sia i giansenisti che gli
ugonotti.
Il giansenismo.
Il giansenismo fu
il principale movimento di dissidenza cattolica del ‘600 e del ‘700. Nato dalla tesi del teologo olandese Cornelio Giansenio (1565-1638),
riprendeva le posizioni di Sant’Agostino sostenendo che la “grazia” costituiva
un dono divino concesso indipendentemente dai meriti: solo così la volontà
umana diviene veramente libera di operare il bene. A questa visione si accompagnava una
religiosità austera e rigorosa, ostile alle forme di compromesso e di
indulgenza praticate dai gesuiti. Nella
polemica contro questi ultimi si distinse lo scienziato e filosofo Blaise Pascal (1626-1662), membro della
più importante comunità di giansenisti, quella che si riuniva intorno ai due
monasteri di Port-Royal. Divenuto un
attivissimo centro culturale e di opposizione politica, che faceva proseliti
soprattutto fra la nobiltà di toga, Port-Royal fu soppresso nel 1709. L’intervento dello Stato in materia
ecclesiastica non era una novità in Francia: poggiava anzi sulla lunga
tradizione delle cosiddette <<libertà gallicane>> (ossia dei galli,
l’antico nome degli abitanti della Francia), espressione che designava
l’autonomia da Roma del re di Francia
soprattutto nella nomina dei vescovi e dei titolari dei benefici ecclesiastici.
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