I veri Achei ?
Mauro Goretti |
I veri Achei ?
Mettiamo che decidiate di scrivere un
romanzo che parla di eroi, di battaglie e di regine, il tutto
condito con un pizzico di magia, in che
epoca lo ambientereste? Forse in un'età antica e favolosa,
remota ma non troppo. Chi compose
l'Iliade ragionò più o meno così. Per l'autore del poema, vissuto
circa 4 secoli dopo la Guerra di Troia (del 1200 a. C. circa), l'età
lontana e favolosa era
quella dei Micenei.
Greci e basta. Tutti
i Greci accampati sotto le mura di Troia, per L'Iliade, sono Achei,
ovvero abitanti dell'Acaia, alias, nell'VIII secolo a. C., la Grecia
tout-court. Ma dietro quel nome si nasconde anche, secondo alcuni
studiosi, un popolo seminomade immigrato in Grecia dall'Europa
Centrale intorno al II millennio a. C. Dopo essersi integrati con
gli indigeni, intorno al 1800-1750 a. C. si sarebbero stanziati in
Argolide (dalla città di Argo, nel Peloponneso) dove fondarono
diverse città-Stato e diedero vita alla civiltà che oggi chiamiamo
micenea dalla città di Micene, uno dei centri maggiori insieme ad a
Argo, Tirinto, Pilo e Sparta (l'antica Lacedemone). Quella civiltà
fu lo sfondo del “romanzo storico” chiamato Iliade.
Aristocratici. Arditi
architetti,amanti del bello e sostenitori della parità fra i sessi,
i Micenei ebbero un grosso difetto: erano guerrafondai. Il che
scatenò tensioni con i vicini, connazionali compresi.
Quel caratteraccio
è impersonato nell'Iliade da Agamennone, comandante in capo di tutti
i Greci a Troia. Figlio di Atreo, re di Micene, il personaggio
mitico ha molto in comune con il “Wanax”, il
sovrano che
governava ogni città-Stato di Micenea. <<Come i sovrani del
poema omerico, i re micenei erano nominati per discendenza paterna>>
. Quella micenea era una società aristocratica
in cui i re
venivano investiti del potere assoluto, rappresentato dallo scettro.
Non esistevano organi
collegiali che
arginassero il potere regale: il sovrano nominava i funzionari del
palazzo, esercitava un'effettiva autorità sull'amministrazione e
aveva funzioni di giudice. In genere manteneva intatta la sua
grandezza anche da morto. Come nel vicino Oriente, i sudditi
pensavano che il re defunto venisse accolto tra gli dèi e ne
meritasse gli stessi oneri. Cosa che non accadde ad Agamennone.
Sacrifici umani?
Al ritorno dalla guerra, il sovrano trovò un'accoglienza tutt'altro
che calorosa:
una bella morte
organizzata dalla moglie Clitennestra, non poteva perdonargli (oltre
al tradimento
con la troiana
Cassandra) il sacrificio della figlia Ifigenia. Quel padre degenere
l'aveva infatti immolata sull'altare della dea della caccia Artemide,
per garantirsi una navigazione tranquilla verso Troia. Solo
leggenda? Non per tutti: alcuni studiosi sono convinti che, in casi
di eccezionale gravità , i Micenei ricorressero davvero ai sacrifici
umani per purificare le loro città.
Lo proverebbero le
ossa scarnificate di alcuni bambini e lo scheletro di una giovane
donna distesa
su un tavolo per
le offerte, trovata sotto le macerie di un santuario di Micene in cui
si stava compiendo il rito. Ma ben poche donne a Micene dovevano
essere pronte a farsi sacrificare senza
battere ciglio.
Degne compagne di quei “machi”, godevano di un'insolita libertà
per quei tempi.
Basti pensare a
Elena, la leggendaria causa dello scoppio della Guerra di Troia.
Divina Elena. La
bellissima moglie di Menelao, re di Sparta e fratello di Agamennone,
cornificato
dal principe di
Troia Paride, era una regina ricca e potente, soggetto attivo più
che oggetto passivo
di quello che
Omero raccontò come un rapimento. Le sue concittadine la veneravano
persino, almeno secondo gli archeologi, che sulla collina, dove
probabilmente si ergeva il palazzo di Menelao hanno ritrovato 300
statuette relative al suo culto. La donna aveva un ruolo importante
nella società micenea. Lo dimostra, nelle cerimonie ufficiali e
nella vita di corte, la presenza di una regina al fianco del re.
Gioielli e tesori di famiglia finivano nelle sepolture femminili e la
trasmissione dell'eredità avveniva per via materna, se non c'erano
eredi maschi. Il “potere rosa”
toccava anche
l'ambito religioso. Considerate tramite privilegiato con gli dèi,
le sacerdotesse erano così potenti da potersi permettere, come
Eritia di Pilo, di far causa al da-mo, la potente corporazione
di
agricoltori e allevatori, per il possesso di un terreno. Non solo.
Anche alle donne meno abbienti era riconosciuta una discreta
importanza: alcune tavolette riportano nomi di bambini seguiti dal
nome della madre. Erano le madri a passare il cognome ai figli, e
non i padri (anche se poi, nell'Iliade, la dinastia di Agamennone è
quella degli Atridi, dal nome di re Atreo). Le micenee, dunque, non
erano solo casalinghe e mamme a tempo pieno. Molte lavoravano
apalazzo come funzionarie, dominavano il settore della produzione dei
tessuti, della ceramica venduta in mezzo Mediterraneo e del commercio
del vino, come l'anziana trovata sepolta insieme ad alcune anfore:
quelle con cui, probabilmente, aveva raggiunto una discreta
ricchezza. Ben altro trattamento era riservato alle schiave,
sull'ultimo gradino della piramide sociale. “Venivano spesso
indicate con la città di provenienza”: “le donne di Mileto”,
“le donne di Cnido”, “le donne di Lemno”. Si trattava in
tutti questi casi, di straniere tenute in condizione servile,
catturate in guerra o acquistate sul mercato degli schiavi. Una
sorte abbastanza comune, all'epoca, per le mogli e le figlie dei
nemici sconfitti.
Amicizie speciali. In
che altro modo, del resto, i guerrieri lontani da casa per lunghi
periodi avrebbero potuto dar sfogo alle proprie voglie? L'eroe
dell'Iliade, Achille, ce ne offre un esempio:
Briseide “dalle
belle guance”, moglie del re di Cilicia (una regione dell'attuale
Turchia) Minete,
rimasta vedova per
mano dell'eroe ne divenne la preda di guerra, ovvero sua schiava
sotto le lenzuola. Quando Agamennone se ne appropria, Achille si
arrabbia, ma mai tanto come quando
Ettore gli uccide
l'amico Patroclo. Una reazione smisurata che molti studiosi hanno
interpretato come segno di un legame più che amichevole con il suo
compagno d'armi. Le fonti scritte sui Micenei sono di natura
amministrativa e contabile e non dicono nulla al riguardo. Sappiamo
che
nelle società
aristocratico-guerriere come quella micenea lo stretto sodalizio tra
giovani, che insieme affrontavano prove di coraggio militari per
entrare nel mondo degli adulti, poteva favorire
rapporti
omosessuali.
Spietati. In
ogni caso, a prescindere dal cuore infranto, i Micenei erano davvero
capaci di comportarsi in guerra come tanti Achille. “Addestramento,
forza e capacità belliche rappresentavano una delle componenti
dell'aristocrazia micenea”. In questo i paralleli con il poema
omerico sono assai stretti: vendetta, ritorsioni e violenza erano gli
ingredienti base della società di questo tipo. Lo dovevano sapere i
Troiani, dietro le mura, mentre guardavano quegli omoni muscolosi,
ben equipaggiati e alti in media, lo rivelano i corpi delle sepolture
più di un metro e settanta, all'epoca una stazza fuori dal comune.
L'esercito aveva un posto centrale anche nella politica. Assicurava
la sopravvivenza della schiatta reale e difendeva la città e i suoi
territori. Faceva paura ai nemici perchè era meglio organizzato,
con fanteria pesante, fanteria leggera e arcieri. Della prima faceva
parte solo chi era di alto rango, come Achille: una specie di corpo
speciale, una forza d'urto che usava la velocità dei carri in
abbinamento ad armamenti pesanti, corazze a lamina metallica, lane e
spade da fendente. La fanteria leggera invece veniva reclutata
tra il popolo,
forse a pagamento, e si difendeva con uno scudo rettangolare e un
elmo in cuoio rivestito di placche d'osso, molto simile a quello con
due zanne di cinghiale ai lati indossato secondo Omero da Ulisse
nelle battaglie dell'Iliade. Per la guerra psicologica la mossa
migliore, descritta anche da Omero, era invece violare un cadavere o
non dargli sepoltura: i Micenei erano convinti che il rito funebre
propiziasse il viaggio del defunto verso il regno dei morti. Senza
sepoltura, la sua anima avrebbe vagato senza pace, perseguitando i
parenti che non avevano provveduto a quell'obbligo. Cos', potremmo
dire, anche lo scempio del cadavere di Ettore contribuì a far cadere
Troia.
Inutile vittoria. Mal
la vittoria esaltata dall'Iliade fu un canto del cigno per i Micenei:
minata forse dai cambiamenti climatici, dalla crisi dei commerci
dovuta, pare, alle incursioni dei Popoli del Mare e (tra il 1120 e il
1070 a. C.9 da una serie di terremoti, la civiltà micenea cedette il
passo ai Dori calati dal Nord e scomparve. Per tornare a vivere 4
secoli dopo, nei versi di Omero.
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