Il Risorgimento italiano (parte terza).
Mauro Goretti |
Il Risorgimento italiano (parte terza).
La continuità con la Restaurazione.
Il decennio 1830-40 trascorse in Italia
sotto il segno di una sostanziale continuità col periodo della
Restaurazione. L'opposizione a
qualsiasi riforma caratterizzò il Regno delle due Sicilie e lo Stato
pontificio, dove “GregorioXVI
(1831-46)” applicò il tradizionalismo più intransigente sia alle
materie dottrinarie sia all'amministrazione dello Stato. In Toscana,
la stretta tutela imposta dall'Austria al granduca “Leopoldo II”
ebbe l'effetto di impedire ogni sviluppo autenticamente liberale e di
limitare l'espressione dei fermenti culturali più vivaci. Solo in
Piemonte, nonostante
gli atteggiamenti elericali e
legittimisti di “Carlo Alberto” (il discusso protagonista delle
vicende
del 1821, salito al trono nel 1831)
furono attuate eaute riforme come la promulgazione dei nuovi
“codici civile (1837) e penale
(1840)”. A questo pressoché totale immobilismo politico si
accompagnarono, all'inizio degli anni '40, alcuni incoraggianti
sintomi di progresso nel quadro economico: un quadro che aveva fatto
registrare nell'ultimo ventennio una tendenza costante alla
crescita produttiva, ma era pur sempre
caratterizzato da una condizione di notevole arretratezza
rispetto alle zone più progredite
d'Europa.
Arretratezza e sviluppo.
Il settore agricolo restava per lo più
legato alle tecniche e ai sistemi di conduzione dell'antico regime.
Solo in alcune zone della Lombardia e, in minor misura, del Piemonte
si erano realizzati
progressi consistenti nella
“cerealicoltura” e “nell'allevamento”. L'industria era
rimasta sostanzialmente estranea alla tecnologia delle macchine. In
particolare, il “settore tessile” si fondava sulla manifattura
tradizionale e sul lavoro a domicilio. Le ferrovie ebbero un avvio
assai
lento e ritardato. Solo nel corso
degli anni '40 la costruzione di strade ferrate assunse un carattere
sistematico, limitatamente al Piemonte,
al Lombardo-Veneto e alla Toscana. L'avvio delle costruzioni
ferroviarie fu comunque uno degli elementi che contribuirono, fra il
'40 e il '46, a dare
nuovo slancio all'economia degli Stati
italiani. Altri fattori furono i progressi del “sistema bancario”
(soprattutto in Toscana e Piemonte), lo sviluppo dei porti e della
marina mercantile, il
generale incremento del commercio
internazionale che si ripercosse positivamente anche sull'Italia.
L'esigenza di un mercato nazionale.
Si trattava, nel complesso, di
progressi limitati, non tali da permettere all'Italia di ridurre il
ritardo
che stava accumulando nei confronti
dell'Europa in via di industrializzazione. Ma furono sufficienti
a far riflettere la parte più
avvertita dell'opinione pubblica borghese sui danni derivanti
all'economia
dalla mancanza di un mercato nazionale
e di un efficiente sistema di comunicazioni; a riproporre il
progetto di una “unione doganale
italiana”, da realizzare sul modello dello “Zollverein”
tedesco;
a stimolare il confronto con gli altri
paesi europei; a rendere viva l'esigenza di un nuovo e più nazionale
assetto politico di tutta la penisola.
Le nuovi correnti politiche: moderatismo, neoguelfismo, federalismo.
Nel corso degli anni '40, in
coincidenza con i fenomeni appena osservati di relativo risveglio
dell'economia e della società civile, il dibattito politico italiano
si allargò e si arricchì di nuove voci.
L'alternativa moderata.
La principale novità di questi anni fu
l'emergere di un “orientamento moderato2, che si differenziava
nettamente sia dal tradizionalismo conservatore e legittimista sia
dal radicalismo repubblicano di
Mazzini e
cercava per il problema italiano soluzioni gradualistiche e indolori:
tali da non comportare l'uso della violenza e lo scontro con le
autorità costituite. La base principale del pensiero moderato stava
nel tentativo di conciliare la causa liberale e patriottica con la
religione
cattolica e col
magistero della Chiesa di Roma.
Il neoguelfismo e Gioberti.
Venne così prendendo corpo una scuola
di pensiero che fu poi definita neoguelfa
(con un termine
tratto
dalla storia medievale), il cui principale rappresentante fu Vincenzo
Gioberti autore del libro
“Del
primato morale e civile degli italiani” (1843). Il primato di cui
parlava Gioberti era
quello che
veniva all'Italia
dall'essere sede del papato e dall'averne condiviso nel corso dei
secoli la missione
di
civiltà. Per questo Gioberti
proponeva una “confederazione fra gli Stati italiani” presieduta
dal
papa.
Balbo.
Il liberale piemontese Cesare Balbo,
autore de “Le speranze
d'Italia” (1843), si poneva invece il
problema,
trascurato da Gioberti, della
presenza austriaca e auspicava che il ritiro dell'Austria si
realizzasse con
mezzi diplomatici, assecondando la naturale tendenza dell'Impero
asburgico a spostare il centro dei suoi interessi verso l'Europa
centro-orientale. L'elemento comune ai progetti
di
Gioberti e Balbo
era l'ipotesi
federalista, la convinzione
cioè che non si dovesse puntare all'unità politica dell'Italia
(giudicata irrealizzabile) ma a una “confederazione) fondata
sull'autorità
del papa e sulla
forza militare del Regno di Sardegna.
D'Azeglio.
Un altro esponente del liberalismo
moderato piemontese, Massimo D'Azeglio, prendendo
spunto
dal fallimento dei
moti del '45 nelle Legazioni pontificie, espresse in un opuscolo
uscito all'inizio
del '46, “Gli
ultimi casi di Romagna”, una dura critica sia del malgoverno
pontificio sia delle iniziative insurrezionali, giudicate inutili,
intempestive e persino dannose per la causa nazionale.
In alternativa,
egli indicava la via delle riforme graduali, senza escludere, in
prospettiva, una soluzione militare affidata alle armi del Regno
sabaudo.
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