I Monumenti di Firenze.
Mauro Goretti |
I Monumenti di Firenze.
Le Cappelle Medicee, il Sepolcro.
Già entrando nella vasta cripta si
intende il significato e la funzione dell’ambiente: qui sono
sepolti quasi tutti i Medici che appartennero al ramo cadetto della
famiglia, i granduchi. Salendo pochi scalini, dalla cripta si arriva
alla Cappella dei Principi, uno sfarzoso ambiente barocco iniziato
nel 1604 da Matteo Nigetti ed arricchito dalle decorazioni dei marmi
pregiati e dai mosaici raffiguranti gli stemmi delle città che
facevano parte del granducato di Toscana. Sopravvissuta fino ai
tempi nostri la scuola delle pietre dure fu fondata nel XVI secolo
dai Medici ed ancora oggi si avvale delle stesse tecniche di un
tempo; i colori dei cosiddetti mosaici fiorentini sono quelli
naturali dei marmi e delle pietre semipreziose, madreperla,
lapislazzuli, corallo ecc. La Cappella non fu mai terminata; si può
notare visitandola che le nicchie sopra i grandi sarcofagi sono quasi
tutte vuote. Le uniche due statue in bronzo dorato di Ferdinando I e
Cosimo II sono opera di Ferdinando Tacca. Anche gli affreschi della
volta, che sostituiscono l’ambizioso progetto di una copertura in
lapislazzuli, furono aggiunti più tardi in epoca lorenese e sono
opera di Pietro Benvenuti (1826).
La Nuova Sagrestia.
Voluta nel 1520 da Giulio de’ Medici,
poi papa Clemente VII, fu portata a termine nel 1534. È uno dei
grandi capolavori di Michelangelo che ne ha disegnato l’architettura
ed eseguito le statue. In questa cappella si esprime il dramma della
contrapposizione fra ciò che vi è di eterno e di finito nell’uomo.
Il tema infatti è quello dell’uomo posto di fronte all’eternità
qui rappresentata dalle quattro statue di nudi adagiate sui due
sarcofaghi e raffiguranti il Giorno e la Notte da una parte e il
Crepuscolo e l’Aurora dall’altra. Negli atteggiamenti di
Giuliano e Lorenzo che sormontarono i due sarcofaghi, si colgono gli
strumenti attraverso i quali l’uomo può superare la dimensione
finita della sua esistenza: l’eroismo, mirabilmente espresso dalla
fierezza di Giuliano duca di Nemours, l’intelligenza, che traspare
nell’immagine di Lorenzo duca d’Urbino, ma soprattutto ciò che
salva l’uomo dal travolgente corso del tempo è la fede: entrambi i
duchi sono rivolti con lo sguardo verso la Vergine. In questa
cappella sono sepolti anche Lorenzo il Magnifico e suo fratello
Giuliano; i due si trovano nel sarcofago sormontato dalle statue
della Vergine e dei Santi protettori dei Medici Cosma e Damiano,
questi ultimi opera di Giovanni da Montorsoli e Raffaello da
Montelupo. L’architettura ricalca il motivo della sagrestia
vecchia ideata dal Brunelleschi un secolo prima: una pianta centrale
quadrata sormontata da una cupola e decorazioni in pietra serena su
intonaco bianco. In Michelangelo però è evidente una maggiore
tensione ed una maggior forza delle masse rispetto alla purezza delle
linee ed alla geometria del Brunelleschi; l’ambiente è meno arioso
e più oppresso dalla monumentalità che, nelle decorazioni a
cassettone della cupola, ricorda il Pantheon di Roma.
Il Convento di San Marco.
Di proprietà dei monaci Silvestrini
fino dal XIII sec., questo convento venne assegnato ai frati
domenicani dal papa Eugenio IV nel 1427. Nel 1437 Cosimo il Vecchio
dette l’incarico a Michelozzo di ristrutturare il convento che in
breve divenne uno dei centri più importanti della cultura
fiorentina. Tra i personaggi illustri che vissero in questo convento
meritano particolare menzione S. Antonino, Arcivescovo di Firenze,
Girolamo Savonarola e il Beato Angelico la cui testimonianza
artistica è una costante che si ripete in tutto il complesso, dal
chiostro al refettorio fino alle celle del piano superiore
mirabilmente affrescate. Il convento venne soppresso nel 1866 e da
allora l’edificio fu adibito a museo. Dedicato all’Angelico è
questo uno degli esempi più tipici di museo monografico ed infatti
tra affreschi e tavole sono qui raccolte quasi un centinaio delle sue
opere. La pittura di fra Angelico è stata definita espressione di
un’ispirazione religiosa tipicamente medievale, una pittura di una
serenità che non conosce turbamenti e che nasce in un clima
paradisiaco perpetuamente inondato di luce, sia questa la luce
scintillante della foglia d’oro dello spazio del divino, sia questa
la luce tersa, diafana dei suoi paesaggi. Uomo di “santissima
vita” come lo definì il Vasari, l’Angelico, pur profondamente
colpito dallo spirito medievale, non poté rimanere insensibile alle
grandi innovazioni artistiche e a tutto ciò che avveniva fuori delle
mura del suo convento nella Firenze del primo ‘400. Ed ecco che si
spiegano nella sua arte quegli aspetti plastici e spaziali che ne
fanno un artista nuovo senza dubbio più vicino allo sprito del
Rinascimento fiorentino. Un artista comunque dove Chiesa e Mondo,
Gotico e Rinascimento si ritrovano indissolubilmente legati tra loro.
Piazza SS. Annunziata.
È questa una delle piazze più belle
di Firenze, di grande effetto per l’armonia prodotta dai tre
portici che la delimitano; quello dell’Annunziata, quello della
Confraternita dei Servi di Maria e quello famosissimo dell’Ospedale
degli Innocenti realizzato dal Brunelleschi intorno al 1419-21. La
facciata dell’Ospedale consiste in un porticato a nove archi; gli
archi poggiano su colonne in pietra serena agili e sottili e di una
perfetta regolarità (la curava di ogni arco sormonta un quadrato di
cui le colonne rappresentano il lato). Di notevole effetto
decorativo sono i medaglioni in terracotta invetriata dove Andrea
della Robbia ha raffigurato dei putti in fasce (ca. 1487).
L’Accademia.
Fondata nel 1784 dal Granduca Pietro
Leopoldo, l’accademia fu ingrandita e riordinata nel secolo scorso.
Nel 1873 l’architetto Emilio de Fabris fece costruire la Tribuna
appositamente per ospitare il David di Michelangelo. Sempre di
Michelangelo si possono ammirare i quattro prigioni, il S. Matteo e
la Pietà di Palestrina qui pervenuta solo nel 1940. Il David:
era il 1501 quando la repubblica fiorentina commissionò a
Michelangelo il David. L’artista allora aveva 26 anni ed era
fermamente convinto delle teorie sugli ideali di bellezza che aveva
maturato nell’ambiente neoplatonico della corte medicea. La
bellezza era intesa come il riflesso del mondo divino in quello
terreno, quasi una rivelazione di Dio nella figura umana che era la
forma in cui si manifestava più chiaramente la bellezza divina.
Michelangelo era altresì convinto che per ottenere una bellezza
“superiore” bisognava far filtrare attraverso la natura, la
fantasia, l’idea dell’artista; non credeva infatti nella perfetta
imitazione della natura anche se ne era profondamente affascinato e
vi si dedicò moltissimo sezionando cadaveri per lo studio
dell’anatomia. Il risultato di questi studi, di queste teorie, di
queste fantasie fu il David, un ideale che incarna questa bellezza
“superiore”, un’opera che è oggi fra le più conosciute ed
apprezzate in tutto il mondo. Michelangelo impiegò circa tre anni
per terminare questo colosso di quattro metri d’altezza. Nel 1504
la statua fu posta davanti al Palazzo Vecchio in piazza della
Signoria dove aveva il compito di impersonificare la libertà
conquistata dalla città e la ferma volontà del popolo nel
difenderla. L’eroe biblico è infatti rappresentato nel momento di
massima concentrazione con lo sguardo determinato di chi è pronto a
combattere e sa che deve vincere. La sua forza morale gli conferisce
un’espressione di serenità mentre i suoi muscoli rivelano la
tensione del corpo, che si manifesta soprattutto nei movimenti
bruschi del collo e delle mani che impugnano la fionda e la pietra
con le quali sconfiggerà Golia.
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