Che cos'è l'archeologia.

Aramini Parri Lucia -Blogger.



Che cos'è l'archeologia.

Probabilmente se qualcuno vi proponesse di divenire archeologi, arriccereste il naso e finireste col rifiutare. L'idea di aver sempre a che fare con cose morte e sepolte può sembrare certo poco entusiasmante. Ma ciò non è vero: non così pensavano, ad esempio, coloro che scavando la collinetta di Tell el-Amarna, in Egitto, portarono alla luce le tracce di un intero villaggio egiziano di 34 secoli fa. E provate a immaginare quanto deve essere intensa l'emozione di sentire fra le proprie mani, di vedere e di toccare proprio quello stesso oggetto che migliaia di anni or sono altri uomini vedevano e toccavano. Potrà essere la spada tutta d'oro d'un condottiero babilonese o al scodella sbreccata in cui mangiava un umile lavoratore ittita o la bambolina con cui giocò la figlia di un ricco egizio, ma sempre questi oggetti, che tornano alla luce dopo decine di secoli, hanno una loro storia da raccontare. Ma non è solo il desiderio di provare questa emozione che spinge l'archeologo a dedicarsi con passione a sempre nuove ricerche. C'è qualcosa d'altro, qualcosa di veramente più importante.

Un valido aiuto alla storia.

Quando, più di un secolo fa, il discorso cadeva sull'argomento della “distruzione di Troia per opera degli Achei” o sul quello del “diluvio universale”, c'era sempre qualcuno disposto a sorridere con indulgenza di tutte quelle “leggende”, come allora si diceva. Oggi invece noi studiamo a scuola questi avvenimenti e siamo certissimi che essi sono veramente accaduti. Che cosa è successo nel frattempo? Semplicemente questo: alcuni archeologi si sono presi la briga di andare a controllare queste “leggende”. Così, sotto il piccone di Enrico Schliemann, in Asia Minore è venuta alla luce la città di Troia distrutta dai Greci. Altri studiosi hanno trovato, fra il Tigri e l'Eufrate, le prove di quello che la Bibbia chiama diluvio universale: uno spesso strato di fango che ricoprì ogni forma di vita. In questo modo l'archeologia è venuta in aiuto alla storia fornendo sicure documentazioni e ci ha permesso di conoscere dei fatti importantissimi che altrimenti avremmo continuato a ignorare. Ma non sempre le ricerche archeologiche raggiungono risultati così clamorosi: spesso una spedizione, dopo scavi durati per settimane, ha trovato solo qualche cesta di cocci, dei vasetti, delle scodelline rotte e qualche arnese consunto dall'umidità. Sul luogo degli scavi rimangono le rovine di qualche muro di un antico edificio di cui l'archeologo ha tracciato la pianta. Sono ritrovamenti in apparenza insignificanti. Si deve dunque concludere che tutto il lavoro fatto per trovarli sia stato inutile?

Rivive un mondo perduto.


Certamente no: spesso è proprio il ritrovamento di oggetti della vita di tutti i giorni che permette di raggiungere il secondo scopo, il più importante, dell'archeologia: farci conoscere e far rivivere nella nostra fantasia tutta una lontanissima civiltà fin nei suoi aspetti più minuti. Dalla pianta di un edificio si può capire e ricostruire l'aspetto originario; i vasetti rotti, gli ornamenti logori, gli arnesi consunti ci permettono di sapere come mangiavano e come si ornavano i nostri antichissimi avi. Spesso noi ci entusiasmiamo quando vediamo in un film o leggiamo in un libro la perfetta e affascinante ricostruzione della vita di tempi remotissimi. Ebbene, in questo caso è proprio l'archeologia che dobbiamo ringraziare. Sono quelle scodelline rotte, i monili mal ridotti, le armi e gli arnesi divorati dall'umidità di secoli, che hanno permesso, attraverso un paziente lavoro di ricostruzione, di far rivivere davanti ai nostri occhi tutto un mondo che noi credevamo perduto per sempre. È proprio quello che accadde al villaggio egiziano di Tell el-Amarna. I resti delle case, la pianta delle strade, e i tanti oggetti di ogni tipo che videro la luce sotto il piccone dell'archeologo, dopo un sonno di tremila anni, sono tornati a parlare. Ci hanno raccontato come vivevano gli Egizi ricchi e poveri, nobili e schiavi. In questo modo il pittore ( e prima di lui l'archeologo) possono rappresentare le scene della vita quotidiana di quel villaggio, precisa come una fotografia.

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