La costituzione degli Stati Uniti. Parte seconda.
La costituzione degli Stati Uniti. Parte seconda.
Federalisti e anti-federalisti.
Favorevoli alla soluzione “federalista”
(ossia al rafforzamento del potere centrale), e quindi
all'approvazione della Costituzione erano soprattutto i gruppi legati
al commercio e alla industria
per i quali la stabilità politica era
la necessaria premessa dello sviluppo economico, ma anche i grandi
proprietari, e in genere i ceti più conservatori, che speravano di
trovare in un esecutivo forte la migliore garanzia contro il
disordine sociale e le tendenze radicali. Le idee “anti-federaliste”
avevano invece maggiore ascolto fra i ceti medio-bassi, in
particolare fra i piccoli coltivatori indebitati, che vedevano nel
governo centrale un possibile strumenti in mano alle oligarchie
finanziarie e agli affaristi della città e che temevano di non poter
essere sufficientemente rappresentati da istituzioni lontane anche
fisicamente.
La soluzione federalista.
Le tesi federaliste finirono comunque
col prevalere quasi dappertutto: la Costituzione fu approvata
da undici Stati su tredici, per essere
poi solennemente ratificata dal Congresso continentale nel settembre
1788. Nel febbraio '89 furono tenute le prime elezioni legislative.
Un mese dopo, George Washington veniva eletto alla carica di
presidente. Le richieste degli anti-federalisti ottennero una
parziale soddisfazione con l'approvazione da parte del Congresso, fra
l'89 e il '91,
di dieci articoli aggiuntivi, o
“emendamenti”, alla Costituzione: emendamenti che avevano lo
scopo
di ribadire e di tutelare i diritti
individuali dei cittadini e le prerogative dei singoli Stati contro
qualsiasi invadenza del potere federale.
Gli schieramenti partitici.
Il governo federale fu organizzato in
“dipartimenti” ossia in ministeri. Il dipartimento del Tesoro fu
affidato ad Alexander Hamilton,
esponente dell'orientamento
federalista, che ebbe un ruolo importantissimo nel risanare le
dissestate finanze dell'Unione e nel promuovere la riorganizzazione
del sistema creditizio attorno a una banca nazionale (la Banca degli
Stati Uniti). La politica di
Hamilton, che
favoriva i ceti commerciali e finanziari del Centro-nord, suscitò
l'opposizione dei proprietari del Sud e
dei colini dell'Ovest, che trovarono un punto di riferimento in
Thomas Jefferson, virginiano,
estensore nel '76 della Dichiarazione d'indipendenza. Si formarono
così due
veri
e propri partiti: il “repubblicano-democratico”, che faceva capo
a Jefferson e il
“federalista”
che
aveva il suo principale leader in Hamilton. L'assestamento
delle istituzioni e il definirsi delle divisioni politiche coincisero
con l'inizio di quella “espansione territoriale” che si era
manifestata
già durante il
periodo coloniale. Con “l'ordinanza del Nord-ovest” emanata dal
Congresso nel luglio 1787, le regioni da colonizzare ottenevano la
condizione di “territori”, cioè di aree poste sotto
la tutela del
Congresso statunitense che vi avrebbe inviato giudici e governatori.
Nel contempo erano incoraggiate a darsi propri organi di autogoverno
fino a che, una volta raggiunti i 60.000
abitanti,
potessero trasformarsi in Stati dell'Unione.
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