Il popolo Maya.

Mauro Goretti e Aramini Parri Lucia

Il popolo Maya.

Assetati di sangue.

Che i Maya sacrificassero vite umane ai loro dèi, non è un mistero. Lo facevano perché le divinità chiedevano sangue, linfa vitale che, nella loro visione, alimentava l'ordine universale. Meno conosciuti sono i particolari. Per esempio, il colore del sacrificio era l'azzurro: così erano dipinte le vittime, come anche quasi sempre la pietra sacrificale e i sacerdoti che ufficiavano il rito.
Cuore in mano.
In epoca postclassica, il sacrificio umano era compiuto “alla messicana” (come cioè si faceva, secondo le testimonianze, nell'area del Messico): quattro sacerdoti disponevano la vittima, supina, sopra una pietra. Poi la reggevano per le mani e i piedi: era il “chilàn” (il principale officiante) a piantare un coltello di selce sotto la mammella sinistra dello sciagurato fino a estrarre il cuore fumante e grondante di sangue con cui si cospargevano gli idoli che rappresentavano le divinità. Spesso, secondo l'uso azteco, il corpo veniva scuoiato, tralasciando mani e piedi (mangiati come una prelibatezza). Da tracce rinvenute a Tikal (oggi in Guatemala), le vittime erano trafitte anche con frecce o dardi.
Sacrificati vip.
A essere immolati erano nemici di rango catturati in battaglia, mai gente umile: gli déi esigevano merce pregiata (e i contadini servivano nei campi). Un particolare tipo di sacrificio, dedicato al dio della pioggia Chac, era quello in uso presso i “cenotes” (cavità carsiche riempite d'acqua) dello Yucatàn in cui si annegavano (secondo recenti scoperte anche prima dei Maya) le vittime. Il “cenote” di Chichén Itzà ha restituito una grande quantità di resti di uomini, ma anche di donne e bambini, associati a oggetti votivi di ogni tipo con frammenti di incenso dipinti di azzurro.
Fai da te.
Tutti i Maya praticavano infine l'autosacrificio. Si tagliuzzavano le orecchie, ma si bucavano anche la lingua per farla sanguinare usando un filo d'erba tagliente. A sacerdoti e re era richiesta l'offerta più cruenta: il sangue dei propri genitali. Il rito era collettivo: si passava una spina di agave con un lungo filo attraverso i peni di diversi uomini affiancati.

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