Botticelli e il suo tempo.
Mauro Goretti e Aramini Parri Lucia. |
Botticelli e il suo tempo.
“Aequari sibi non indignetur
Apelles Sandrum: iam notum est nomen ubique suum”
[Non si sdegni Apelle di essere
eguagliato a Sandro: già il suo nome è noto ovunque]
Il primo gennaio del 1449 veniva alla
luce a Firenze, nel polo di San Lorenzo, parte del gonfalone Lion
d'oro del Quartiere di San Giovanni, Lorenzo detto poi il Magnifico,
figlio di Piero di Cosimo dei Medici detto il Gottoso e di Lucrezia
Tornabuoni. La sua famiglia risiedeva già nello splendido palazzo in
via Larga che Michelozzo aveva iniziato a costruire cinque anni
prima, arricchitosi via via di innumerevoli pitture, sontuosi arredi
e raffinate collezioni, descritti con ammirazione dai cronisti e dati
contemporanei che vi ebbero accesso e, dal 1458, di fatto, il luogo
dove si gestiva il potere e si decidevano gli uomini da eleggere alle
maggiori cariche della Repubblica. Allo Scheggia, fratello di
Masaccio, secondo gli usi del tempo, venne commissionata, per
l'occasione, la pittura del “Trionfo della Fama”. Il piccolo
Lorenzo, non appena fu in età scolare, venne affidato alle cure di
un precettore erudito e di puri costumi come Gentile Becchi da Urbino
perché gli fornisse una buona educazione scolastica e umanistica,
avviandolo allo studio dei classici. Tra le figure di maggiore spicco
nella Firenze della seconda metà del Quattrocento che verosimilmente
affiancaro Becchi nell'educazione del fanciullo, vi dovettero essere
Cristoforo Landino, dal 1458 professore allo Studio Fiorentino, e
Marsilio Ficino, il più insigne studioso delle dottrine platoniche
del tempo, accolto da Cosimo il Vecchio nella villa suburbana di
Careggi e legato indissolubilmente ai Medici per il resto della sua
vita. Circa quattro anni prima era nato, in una modesta casa in
affitto vicino alla chiesa di Ognissanti, nel Gonfalone Unicorno del
Quartiere di Santa Maria Novella, da Mariano di Vanni Filipepi, un
umile conciatore di pelli, e da sua moglie “nonna Smeralda”,
Sandro, poi detto del Botticello o Botticelli, per via del soprannome
affibbiato al fratello maggiore Giovanni, che svolgeva il mestiere
del sensale al Monte delle Doti e doveva essere incline allla buona
tavola e in particolare alle libagioni. Il futuro pittore era il
quarto figlio maschio di una coppia ormai anziana, venuto alla luce
quando il primogenito Giovanni contava già ventiquattro anni, il
fratello Antonio sedici e il terzogenito Simone due. Di lui viene
detto, nella portata al Catasto del 1458, quando aveva ormai tredici
anni: <<sta allegere ed è malsano>>. La sua educazione
dovette essere quella sommaria, del leggere e del far di conto, che
si impartiva ai figli degli artigiani nella Firenze nella seconda
metà del Quattrocento, anche se il nostro dovette mostrare ben
presto una venerazione particolare per Dante e un'ottima conoscenza
della sua Commedia, secondo quanto racconta Giorgio Vasari. La
frequentazione nel corso della sua vita di colti committenti e dei
maggiori umanisti del suo tempo, ne avrebbe in seguito fatto
l'interprete ideale delle raffinate allegorie mitologiche tanto
apprezzate e richieste nell'età laurenziana, così nel 1480 e nel
1485 l'umanista Ugolino Verino poteva definirlo erede di Apelle e
nuovo Zeusi, i due mitici pittori dell'antichità le cui gesta erano
meglio note a Firenze dopo che nel 1476 Cristoforo Landino aveva
tradotto dal latino Historia Naturalis di Plinio.
In un primo tempo il padre doveva aver
pensato di avviarlo, come il fratello Simone, alla pratica
mercantile, ma, a quanto ci narra il Vasari, non aveva tenuto conto
dell'inclinazione del giovane per il disegno e la pittura. Di fronte
all'ostinazione del figlio, Mariano si sarebbe visto costretto a
metterlo, intorno al 1460, a bottega presso fra' Filippo Lippi, uno
dei più vecchi e apprezzati maestri che contava allora a Firenze. Il
frate carmelitano, per quanto chiacchierato per i suoi imbrogli e per
la relazione scandalosa con Lucrezia Buti, da cui sarebbe nato
intorno al 1457, Filippino, anche lui pittore di vaglia, era
apprezzato per la sua pittura dolce e preziosa, fatta di trasparenze
e di colori luminosi, ideale per la resa dei sentimenti. Caratteri
questi che gli avevano fruttato per qualche tempo la protezione dei
Medici, committenti delle due lunette oggi alla National Gallery di
Londra e in origine nel palazzo di via Larga, e dell'Adorazione del
Bambino di Berlino, già sull'altare della cappella di palazzo,
affrescata da Benozzo Gozzoli con il Corteo dei Magi.
Quando fra' Filippo, in crisi di
commissioni fiorentine al pari di altri pittori, fu indotto ad
abbandora Firenze e Prato per recarsi ad affrescare l'abside del
Duomo di Spoleto, città dove la morte l'avrebbe raggiunto nel 1469,
Sandro doveva essersi già emancipato da lui, mettendosi in proprio e
aprendo bottega al piano terreno della casa comprata dal padre nel
1464 [lo stesso anno in cui era venuto a mancare Cosimo de' Medici]
nella via Nuova d'Ognissanti, l'attuale via del Porcellana. Una
bottega celebre la sua ricordata nel 1470 da Benedetto Dei: in essa
avrebbe lavorato per tutta la vita, scapolo ma attorniato da una
famiglia numerosa, di ben venti “bocche” nel 1480, e da uno
stuolo di garzoni allegri, chiassosi e, come il maestro, inclini agli
scherzi e alle burle.
Il Botticelli dovette legare, fin
dall'inizio della sua carriera artistica, le proprie sorti a quelle
dei Medici o dei loro sostenitori. L'appoggio della famiglia
dominante e dei suoi fautori era del resto indispensabile in una
città ove due grandi botteghe si contendevano il primato in campo
artistico e si dividevano le più importanti commissioni, e cioè, la
bottega di Antonio del Pollaiolo e l'altra non meno importante la
bottega del Verrocchio.
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