La tintura dei capelli ancora prima del Medioevo.

Mauro Goretti

La tintura dei capelli ancora prima del Medioevo.

Senza dubbio l'arte della tintura del capello era usanza ben conosciuta e praticata molto prima del
Medioevo. Le matrone romane erano solite trattare le proprie chiome con unguenti e sostanze particolari. Il divino Alessandro Magno passò alla storia, oltre che per le sue imprese, per una
bionda chioma che di naturale, in verità, doveva avere molto poco. Tuttavia, l'arte della tintura del capello non raggiunse forse mai risultati fantasiosi e inediti come nel periodo medievale. Tutto era lecito per modificare i propri capelli e renderli del colore desiderato: vegetali, minerali, escrementi di animali... Qualunque intruglio andava bene pur di dare alla capigliatura il colore desiderato, magari in base all'umore del giorno. Ovviamente non si sta parlando di un vezzo solamente femminile, sia chiaro: Francesco Sforza amava colorarsi i capelli e provava un particolare gusto
nel mostrarsi un giorno con i capelli color naturale e un giorno di nero corvino.
Non a caso, proprio come ai giorni nostri, il nemico più temuto e odiato altro non era che la tanto
esecrata calvizie. Si poteva essere disposti a tutto pur di scongiurare la perdita dei capelli e le teorie
e scuole di pensiero, in materia, erano diffuse tanto quanto quelle di filosofia. Aldobrandino da
Siena, illustre medico italiano del tempo, si raccomandava di evitare il sapone, lavare con acqua tiepida, ungere di olio rosato o mirra. Altri testi suggerivano di usare la “Artemisia abrotanum”.
Qualsiasi mezzo, pur di fermare la “pelatina”, come la chiamavano nel Quattrocento, che poteva
anche essere il biglietto da visita del “mal francese”, la sifilide. A buona ragione, Anton Francesco
Grazzini, detto il Lasca (sec. XVI), protestava: “Così la peste il canchero e la tossa e 'l mal fianco
o febbre repentina, che in quattro di mi mandasse alla fossa torrei piuttosto che la pelatina”.

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