I Kennedy. Storia.
Aramini Parri Lucia - Blogger. |
I Kennedy. Storia.
Due
uomini “nuovi” nella storia americana.
1943 Oceano Pacifico.
Nuotavano
tutti con fatica da cinque ore; uno di loro, il capitano, trascinava
un compagno ferito tenendo fra i denti i lacci del suo giubbotto
galleggiante. Erano i superstiti della motosilurante statunitense
PT109 affondata nel mese di
agosto del 1943 da un cacciatorpediniere giapponese al largo delle
isole Salomone. Approdati su un'isoletta, il capitano riuscì, dopo
cinque giorni, a far giungere al comando americano il seguente
messaggio inciso su una noce di cocco: “undici superstiti-indigeno
conosce posizione scogliere isola Nauru-Kennedy”. Si trattava del
capitano di vascello John Fitzgerald Kennedy, che sarebbe divenuto il
35° presidente degli Stati Uniti.
Un uomo nuovo verso una nuova frontiera.
Nato
nel 1917 a Brookline, un sobborgo di Boston, a soli 29 anni era
deputato democratico alla Camera dei Rappresentanti (che, insieme con
il Senato, costituisce il Congresso, cui spetta il potere
legislativo); nel 1952, era senatore per il Massachusetts. Solo otto
anni più tardi, nel 1960, John Kennedy pose la sua candidatura alle
elezioni presidenziali e le vinse. Cattolico di origine irlandese,
piacevole d'aspetto, cordiale nei modi, tenace e battagliero nella
sua azione, gli elettori avevano scelto con lui l'uomo capace di
condurre la nazione verso quella che egli definì “la nuova
frontiera” degli anni settanta, verso cioè sono parole sue “le
zone inesplorate della scienza e dello spazio, gli insoluti problemi
della pace e della guerra, le inconquistate sacche dell'ignoranza e
dei pregiudizi, le irrisolte questioni della miseria”.
Una pace armata: Cuba.
“I
miliardi di dollari spesi ogni anno per l'acquisto di armi
nell'intento di assicurarci che non avremo mai bisogno di adoperarle
sono essenziali per mantenere la pace”. Parlare di pace non
bastava, dunque, secondo Kennedy, occorreva anche armare la nazione
per renderla così potente militarmente da scongiurare qualsiasi
pericolo di guerra. Questo principio della politica kennediana
spiega l'episodio di Cuba. Nell'isola si era instaurato il governo
comunista di Fidel Castro. Le industrie (molte erano proprietà di
statunitensi) furono nazionalizzate (cioè divennero di proprietà
dello Stato cubano) e gli scambi commerciali con gli Stati Uniti
vennero interrotti. Diversi oppositori al regime castrista
lasciarono Cuba e si stabilirono in America. Nel 1961 un forte
gruppo di profughi cubani sbarcò a Cuba con armi americane per
rovesciare Castro. Il disgraziato tentativo fallì, ma il clima di
tensione che si era creato portò l'Unione Sovietica a intervenire in
aiuto di Fidel Castro fino a impiantare nell'isola basi
missilistiche. Kennedy sentì il Paese minacciato troppo da vicino e
impose con un ultimatum di smantellarle, pena la guerra. L'Unione
Sovietica preferì appianare le cose pacificamente, smantellò le
rampe: fu evitato così un catastrofico conflitto armato.
Vietnam: la guerra.
L'episodio
di Cuba sembrò dimostrare che la teoria kennediana funzionava. Non
è stato così in Indocina. Kennedy, uomo nuovo della politica
moderna, esperto nell'arte di rendere impossibile la guerra, appena
eletto presidente proseguì la politica dei suoi predecessori in
Vietnam: arginare, cioè, la spinta del Vietnam del Nord (regime
comunista) verso il Vietnam del Sud (filoamericano). Ma mentre gli
altri presidenti (Truman, Eisenhower) avevano seguito una politica di
“rischio limitato”, Kennedy impegnò gli Stati Uniti in una
guerra che avrebbe avuto drammatici sviluppi.
Dallas.
Proprio
nel fermento che precedette le elezioni presidenziali del 1964, una
mano assassina uccise John Kennedy, a Dallas, il 22 novembre 1963.
Che cosa armò quella mano non è ancora chiaro. Fu il gesto di un
fanatico o la realizzazione di un piano per eliminare dalla scena
politica un uomo deciso a portare avanti il suo programma di
uguaglianza e di pace?
Erede di una missione incompiuta.
Di
8 anni più giovane di John, Robert si era laureato in
giurisprudenza. La sua carriera ebbe un inizio molto battagliero
quando, nominato vice procuratore del Dipartimento di Giustizia,
portò a termine una serie di azioni legali contro la malavita. Fu
accanto a John come ministro della Giustizia e nel 1965 fu eletto
senatore dello Stato di New York: come tale si preparava, nel 1968,
alle elezioni presidenziali. I suoi discorsi rivelavano fermezza,
chiarezza, senso di giustizia: “Alcuni vedono le cose come sono e
dicono: perché? Io sogno cose che non sono mai state e dico: perché
no?” “Dissentiamo dal fatto che milioni di persone siano
condannate alla miseria, mentre la nazione continua ad arricchirsi.”
E ancora: “Noi bruciamo il Vietnam e la libertà di un paese non
si difende bruciandolo”. Di lui la stampa disse che era un uomo da
seguire e imitare o distruggere. E mentre una parte della nazione si
apprestava a seguirlo, ancora una volta un insensato omicidio venne a
troncare violentemente la speranza di milioni di persone. Bob fu
ucciso a Los Angeles il 6 giugno 1968.
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