Le principali azioni antropiche sull'ambiente.
Le principali azioni antropiche sull'ambiente.
L'uomo,sin
dalla sua origine,ha sfruttato il territorio
non
soltanto per viverci,come gli altri esseri della
biosfera,ma
anche per ricavarne materiali utili ed
energia.
Questo sfruttamento ha assunto talora un
tono
esasperato,sia per l'aumento della popolazione,
che
si verifica ovunque,sia per l'aumento della richiesta
di
beni. Ciò porta a conseguenze di particolare
significato
sulle risorse non rinnovabili,come ad
esempio
il petrolio,la cui formazione ed accumulo,
limitato
ad aree del nostro pianeta ben limitate,
hanno
richiesto tempi geologici.
Per
valutare appieno il ritmo di utilizzazione delle
risorse
naturali è sufficiente citare che gli Stati
Uniti
negli ultimi trenta anni hanno consumato più
minerali
di quanto l'intera umanità avesse fatto in
precedenza,sin
dalla sua origine. Nasce pertanto
spontanea
una prima domanda:fino a quando le
risorse
naturali geologiche potranno soddisfare
la
crescente richiesta? I pessimisti ritengono che
l'accrescimento
di popolazione non potrà essere
seguito
da un equivalente incremento delle risorse
per
cui si avrà un inevitabile declino dello standard
di
vita. Gli ottimisti al contrario,sono certi che il
progresso
tecnologico permetterà di sopperire
ai
fabbisogni futuri della umanità.
Vi
è però un'altra domanda che si affaccia
insistente
da qualche anno:quali sono le
conseguenze
di questo sfruttamento sempre più
massiccio
sull'ambiente in cui viviamo? La
risposta
in questo caso non segue linee contrastanti
in
quanto tutti sono d'accordo sul loro aspetto
negativo.
Molti esempi sono infatti evidenti a tutti.
L'uso
intenso del territorio porta infatti ad alterazioni
fisiche,chimiche
e biologiche dell'ambiente cui si
ripercuotono
sia sulle risorse indispensabili alla
vita,come
l'acqua,sia sulle stesse opere fatte
dall'uomo
per rendere migliori le sue condizioni
di
sussistenza. L'uomo interferisce sulla natura
in
modo tale da assumere il ruolo di vero e proprio
agente
geologico che interviene nella
dinamica
esogena
del nostro pianeta producendo effetti
talora
più vistosi degli stessi agenti naturali,
quali
il vento,le acque superficiali,ecc.
Nasce
quindi la necessità di instaurare una
gestione
del territorio che non tenga conto,
come
si è fatto finora,soltanto degli aspetti
economici,ma
anche dei problemi di salvaguardia
dell'ambiente.
Va innanzitutto sottolineato che,
come
tutti gli organismi viventi sulla Terra hanno
un
equilibrio in continua evoluzione,lo stesso
avviene
per l'ambiente geologico. Basta pensare
alla
degradazione dei versanti montuosi,alle
eruzioni
vulcaniche,ai terremoti,ecc. Il
discorso
pertanto si fa complesso per cui la
razionale
gestione del territorio prevede una
conoscenza
volta non soltanto al possibile
utilizzo
delle risorse esistenti,ma anche alle
variazioni
naturali che l'ambiente subisce ed a
quelle
che un domani potrà subire per azione
dell'uomo.
La gestione integrata di un ecosistema
prevede
un esame globale dello stesso in modo
da
evitare ogni danno alle componenti,tenendo
presente
che si rende necessario:
usare
al massimo le risorse rinnovabili e ridurre
al
minimo quelle non rinnovabili;
rispettare
le vocazioni specifiche del territorio;
esercitare
una graduale modifica degli equilibri
preesistenti;
razionalizzare
l'uso dell'energia disponibile.
Ciò
è possibile purché venga superata la
cosiddetta
soglia di povertà che
spesso condiziona
la
scelte umane e che siano rispettate le tradizioni.
Purtroppo,il
progresso tecnologico a sopravanzato,
e
spesso di molto,quello sociale,psicologico e
morale
per cui il margine di libera decisione
rimasto
all'uomo si è notevolmente ridotto.
Il
motore dell'uomo ha una capacità media
di
circa 70 w con punte massime di 350 w
e
di un lavoro quotidiano di circa 0,5 kwh
che
rappresenta l'energia di 5 cucchiai di
benzina.
E' naturale quindi che il suo sforzo
maggiore
sia stato quello di spingersi ad
assoggettare
altre forze della natura e di
spingere
il suo habitat dove le
condizioni di
vita
sono migliori. Le aree pianeggianti e
fertili,ad
esempio come le vulcaniche,sono
preferibili
a quelle ostili di montagna.
Il
disboscamento è tra
le prime cause.
Dal
1882 al 1952,in meno cioè di un secolo,
la
superficie coperta da foreste nel mondo
è
passata da 52 a 33 milioni di km2
. Un
tempo
il culto degli alberi e degli animali
stava
alla base della cultura dei popoli italici.
Tra
i romani dell'età imperiale l'abbattimento
di
un albero era considerato un crimine e
come
tale punito. Le leggi venete erano
famose
per la difesa dei boschi e il Magistrato
delle
Acque di Venezia a ciò preposto
infliggeva
tre anni di galera a chi addirittura
“sramava
un albero” ritenuto utile.
Pene
più severe erano comminate anche
a
chi semplicemente falciava l'erba entro i
boschi.
Nel 1572 veniva comminata la pena
di
morte a chi,guardando il Piave,entrava
in
un bosco per danneggiarlo.
Con
la decadenza di Venezia,avvenuta nel
XVIII
secolo,anche la protezione dei boschi
venne
meno. Già nel XV secolo Leonardo
da
Vinci diceva che “la natura maestra dei
maestri,ci
insegna,fra l'altro,che ogni forza
vitale
nascosta ha della Natura la sua
protezione,simboleggiata
dal pulcino e dalla
chioccia”.
E prevedeva che “nulla cosa
resterà
sopra terra,o sotto terra e l'acqua,
che
non sia perseguitata romossa o guasta”.
Pochi
anni dopo Galilei affermava che “noi
non
dobbiamo desiderare che la natura si
accomodi
a quello che parrebbe meglio
disposto
a noi,ma conviene che noi
accomodiamo
l'interesse nostro a quello che
essa
ha fatto,sicuri tale essere l'ottimo e non
altro”.
Nel 1965 Jane Dorst osserva: << sta
a
noi decidere se vogliamo essere all'altezza
della
nostra condizione di esseri irragionevoli,
capaci
di crescere in modo proporzionale
all'aumento
delle risorse,o di creature inferiori
che
prolificano e distruggono al tempo stesso
il
loro habitat>>. Con la decadenza di Venezia,
anche
la protezione della natura viene meno e
scompaiono,ad
esempio,i grossi mammiferi
selvatici,come
cervi,caprioli e cinghiali che
popolavano
le foreste nell'entroterra veneziano,
tanto
che Videsott nel 1971 dice che gli italiani
<<
da maestri,sono diventati tardi discepoli>>.
Il
disboscamento è stato sotto un certo punto
di
vista considerato una << prova di civiltà
e
di progresso poiché dimostra la superiorità
dell'uomo
sulle forze naturali che nel bosco
trovano
ampia sede e manifestazione>>.
In
Italia,a parte le citazioni già fatte,merita
ricordare
che il bosco un tempo ricopriva il
nostro
paese:vicende storiche varie,dalle
leggi
eversive della feudalità,all'abolizione
congregazioni
religiose,alla cresciuta necessità
della
popolazione,hanno ridotto sempre più
le
foreste. Già alla fine del secolo scorso la
Sicilia,un
tempo coperta di boschi,era quasi
priva
di verde e così la Sardegna.
Dal
1870 al 1910 furono disboscati ben 91.000
ha
(ettari) in provincia di Cagliari e 125.000 in
provincia
di Sassari per approvvigionarsi di legno,
sughero
e rovere da carbone. Nell'Italia
continentale
possiamo ricordare le Murge
Baresi,un
tempo ricche di Pino d'Aleppo tanto
che
il maniero di Federico II ha Castel del Monte,
sorgeva
tra ricche foreste dove ora si estende
una
pietraia. Nel XVI secolo si stima che almeno
il
50% della penisola fosse coperto da boschi che
via
via vennero a ridursi. Con la sua riduzione
l'erosione
del suolo prese il sopravvento tanto che
secondo
stime del 1971 essa sconvolse 50.000 km2
con
danni calcolati in 300 miliardi/anno. A questo
flagello
si è aggiunto recentemente il fuoco,in
genere
doloso o frutto di sprovveduti,che ha
distrutto
circa 40.000 ettari all'anno contro un
rimboschimento
di soli 25.000 ettari. Il
degrado
del bosco infine avviene anche per
inquinamento
atmosferico. Secondo una
indagine
dell'ENI-Isvet i danni a riguardo sono
valutati
in 36 miliardi di lire che nel caso del
1985
sarebbero saliti a 134-158. All'estero le
cose
non vanno meglio. Tutti noi come sapremmo
è
nota la situazione dell'Amazzonia dove ogni
anno
il fuoco distrugge ettari ed ettari di foresta.
Meno
noto è l'incendio che divampò un paio
d'anni
fa nel Kalimantan,la parte indonesiana
del
Borneo;fu tanto grande che il fumo impedì
agli
aerei l'atterraggio a Singapore,cioè a circa
1400
km di distanza. In quell'occasione,
sulle
cui cause ancora si discute,venne
distrutto
dal fuoco tra l'altro,un numero elevato
di
specie tipiche della flora e fauna locale.
Purtroppo,il
crescere della popolazione e
quindi
la necessità di provvedere con nuove
colture
al suo sostentamento,a fatto dire ad un
Ministro
indonesiano che << l'incendio è
stato
un modo economico di sgomberare la
foresta>>
in quanto <<gran parte della giungla
distrutta
andava comunque sostituita da
colture
produttive>>. Dove però manca la
foresta,il
terreno a quelle latitudini impoverisce,
reso
arido dal cocente sole e dilavato dalle intense
piogge.
Il disboscamento è spesso seguito in
molti
paesi dall'eccessivo sfruttamento del
suolo
per agricoltura e pastorizia che portano
ad
una progressiva desertificazione.
Il
deserto infatti avanza in molte regioni,
tanto
che ogni anni vengono resi sterili
21
milioni di ettari coltivabili. Per quanto
riguarda,ad
esempio,il Sahel,la regione africana
più
colpita dal fenomeno,si calcola il
rimboschimento
copra circa 20 milioni di
ettari
annui,mentre il fabbisogno (per mancanza
di
alternative alla legna da ardere) sarebbe di
150-200.000
ettari. Attorno a grandi città,
come
ad esempio Ouagadogou,capitale del
Burghina
Fasse si estende un anello di deserto
per
un raggio di circa 100 km. Secondo il già
citato
Deeve,in soli 70 anni i terreni aridi sono
aumentati
del 140% passando da 1100 milioni
a
2600 milioni di ettari. In occasione di un
convegno
internazionale tenutosi a Roma
nel
maggio 1986 è stato addirittura detto che
1
uomo su 7 vive in territori che si stanno
trasformando
in deserti. L'inquinamento è
un'altra
delle azioni artificiali che,o in forma
capillare
ma diffusa,o in forma massiccia,
influisce
sull'ambiente. L'inquinamento è
dovunque:dal
mare alla terra ferma.
Basta
pensare che l'Italia è diventata la
raffineria
d'Europa,in quanto tratta oltre
150
milioni di t di petrolio quaranta in
più
del proprio fabbisogno. Per scelte
ecologiche
sbagliate,o piuttosto non valutate,
si
hanno ogni anno costi enormi che gravano
sulla
collettività. Al turismo balneare,ad esempio,
ciò
ha portato nel 1968 danni per 62 miliardi,
che
nel 1970 sono stati 67 e nel 1985 120 e
che
certamente saliranno ancora.
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