I grandi dello sport.
I grandi dello sport.
L'erede dei grandi Campioni.
E finché ci sono gare, ci sono
campioni. Jackie Stewart è
l'erede naturale dei grandi del
passato, come Juan Manuel
Fangio e Jim Clark. Nessuno come lui,
però, ha compiuto
un'ascesa così rapida nel mondo delle
corse. Jackie Stewart
è nato a Milton in Scozia il 6
novembre 1939. Suo nonno era
una guardia forestale; il padre,
invece, gestiva una piccola
autorimessa dove Jackie andò a
lavorare appena quindicenne.
Lui e la scuola non erano mai andati
molto d'accordo.
Ma la voglia di motori non lo contagiò
subito. Il nonno gli
aveva insegnato a sparare nei boschi
attorno a Milton e Jackie
era diventato ben presto un campione.
Era tanto abile e sicuro
di sé che venne convocato dalla
Federazione inglese per la
nazionale di tiro al piattello in
occasione delle Olimpiadi di Roma
del 1960. Il tiro al piattello
dichiarerà poi Jackie mi arricchì di doti
che mi servono ancora: colpo d'occhio,
polso fermo e riflessi pronti.
Ma nel 1961 si avvicinò ai motori,
inconsciamente spinto da suo padre,
ex-corridore, forse per un senso di
rivalsa verso un mondo che non
gli aveva procurato eccessive
soddisfazioni. Per due anni Jackie
gareggiò per piccole scuderie, fino a
quando, nel 1963 a Snetterton,
s'imbatté in Ken Tyrrel, un
commerciante di legname con la passione
per le auto da corsa. Ken e Jackie non
ebbero bisogno di consumare
troppe parole per capire che l'uno
serviva all'altro e viceversa.
Così Jackie Stewart nel 1964 ebbe a
disposizione una vettura di
formula tre e in quell'anno si
aggiudicò quattordici delle sedici gare
cui partecipò. Era un giovane freddo,
calcolatore, tempista.
In questo modo le porte della Formula 1
gli si spalancarono presto.
E anche in questo ristretto ambiente,
dove solo pochi campioni
possono resistere a lungo, seppe farsi
largo con le sue doti.
Nella sua brillante ascesa a numero 1
dei piloti d'alta velocità si
registra una pausa nel 1966-67. A Spa,
durante il Gran Premio del
Belgio, Jackie è vittima di un pauroso
incidente, dal quale esce
vivo per miracolo. Torna sulle piste,
ma si dice che non corra veloce
come prima. Il 1968 è l'anno della
rinascita e della conferma che è
un vero campione. Così, di vittoria
in vittoria, stabilisce anche il
primato di gran premi vinti (27 sino a
questo momento) e conquista
nel 1973 il suo terzo titolo mondiale
conduttori. Eppure Jackie Stewart,
lo <<scozzese volante >>,
non ha nulla del pilota di formula uno.
È brutto parecchio, piccolo, magro,
naso adunco, denti incisivi piuttosto
sporgenti, capelli sempre arruffati.
Ed è anche un po' strabico, il più
delle volte poi, veste malissimo e
cammina a balzelli tanto da assomigliare
a un'anatra. Più che un pilota di
bolidi da 300 all'ora ha l'aspetto del
componente di un complesso beat al
quale hanno appena rubato la chitarra.
Fuori gara, è allegro e divertente, ma
quando corre si trasforma, diventa
un personaggio di ghiaccio. In gara
non fa mai << numeri >>, non dà
spettacolo. Di lui tecnici qualificati
dicono che vinca senza mai dare
l'impressione di correre. È un
ragioniere della guida pulita, delle
parabole millimetriche, a ogni curva le
ruote stridono sempre nello
stesso punto, sulla traiettoria
migliore, a quattro-cinque dita dal marciapiede
o dal guard-rail. Ormai lo dicono
tutti, anche i suoi avversari: Stewart è il
pilota più completo dell'attuale
automobilismo, il più serio e il più tecnico.
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