Leonardo da Vinci biografia del Vasari.
Lo studio del grande Leonardo. |
Leonardo
da Vinci biografia
dal Vasari
Leonardo da Vinci - dalle "VITE" di Giorgio Vasari
LIONARDO
DA VINCI Pittore e Scultore Fiorentino
Grandissimi doni si veggono piovere da gli
influssi celesti ne' corpi umani molte volte naturalmente; e sopra
naturali talvolta strabocchevolmente accozzarsi in un corpo solo
bellezza, grazia e virtú, in una maniera che dovunque si volge quel
tale, ciascuna sua azzione è tanto divina, che lasciandosi dietro
tutti gli altri uomini, manifestamente si fa conoscere per cosa (come
ella è) largita da Dio, e non acquistata per arte umana. Questo lo
videro gli uomini in Lionardo da Vinci, nel quale oltra la bellezza
del corpo, non lodata mai a bastanza, era la grazia piú che infinita
in qualunque sua azzione; e tanta e sí fatta poi la virtú, che
dovunque lo animo volse nelle cose difficili, con facilità le
rendeva assolute. La forza in lui fu molta e congiunta con la
destrezza, l'animo e 'l valore sempre regio e magnanimo.
E la fama
del suo nome tanto s'allargò, che non solo nel suo tempo fu tenuto
in pregio, ma pervenne ancora molto piú ne' posteri dopo la morte
sua. E veramente il cielo ci manda talora alcuni che non
rappresentano la umanità sola, ma la divinita istessa, acciò da
quella come da modello, imitandolo, possiamo accostarci con l'animo e
con l'eccellenzia dell'intelletto alle parti somme del cielo. E per
esperienza si vede quegli che con qualche studio accidentale si
volgo|no a seguire l'orme di questi mirabili spiriti, se punto sono
dalla natura aiutati, quando il medesimo non sono che essi, tanto
almanco s'accostano a le divine opere loro, che participano di quella
divinità. Adunque ,veramente mirabile e celeste fu Lionardo, nipote
di ser Piero da Vinci, che veramente bonissimo zio e parente gli fu,
nell'aiutarlo in giovanezza. E massime nella erudizione e principii
delle lettere, nelle quali egli arebbe fatto profitto grande, se egli
non fusse stato tanto vario et instabile. Percioché egli si mise a
imparare molte cose e, cominciate, poi l'abbandonava. Ecco
nell'abbaco egli in pochi mesi che e' v'attese, fece tanto acquisto,
che movendo di continuo dubbi e difficultà al maestro che gli
insegnava, bene spesso lo confondeva. Dette alquanto d'opera alla
musica, ma tosto si risolvé a imparare a sonare la lira, come quello
che da la natura aveva spirito elevatissimo e pieno di leggiadria,
onde sopra quella cantò divinamente allo improviso. Nondimeno,
benché egli a sí varie cose attendesse, non lasciò mai il
disegnare et il fare di rilievo, come cose che gli andavano a
fantasia piú d'alcun'altra. Veduto questo Ser Piero, e considerato
la elevazione di quello ingegno, preso un giorno alcuni de' suoi
disegni, gli portò ad Andrea del Verrocchio, che era molto amico
suo, e lo pregò strettamente che gli dovesse dire se Lionardo,
attendendo al disegno, farebbe alcun profitto. Stupí Andrea nel
vedere il grandissimo principio di Lionardo, e confortò Ser Piero
che lo facessi attendere, onde egli ordinò con Lionardo che e'
dovesse andare a bottega di Andrea. Il che Lionardo fece volentieri
oltre a modo. E non solo esercitò una professione, ma tutte quelle
ove il disegno si interveniva. Et avendo uno intelletto tanto divino
e maraviglioso, che essendo bonissimo giometra, non solo | operò
nella scultura e nell'architettura, ma la professione sua volse che
fosse la pittura. Mostrò la natura nelle azzioni di Lionardo tanto
ingegno, che ne' suo' ragionamenti faceva con ragioni naturali tacere
i dotti. Fu pronto et arguto, e con una perfetta arte di persuasione
mostrava le difficultà del suo ingegno, che nelle cose de' numeri
faceva muovere i monti, tirava i pesi, e fra le altre parole mostrava
volere alzare il tempio di San Giovanni di Fiorenza e sottomettervi
le scalee, senza ruinarlo, e con sí forti ragioni lo persuadeva, che
pareva possibile, quantunque ciascuno, poi che e' si era partito,
conoscesse per se medesimo la impossibilità di cotanta impresa. Era
tanto piacevole nella conversazione che tirava a sé gli animi delle
genti. E non avendo egli, si può dir, nulla e poco lavorando, del
continuo tenne servitori e cavalli, de' quali si dilettò molto, e
particularmente di tutti gli altri animali, i quali con grandissimo
amore e pazienzia sopportava e governava. E mostrollo che spesso
passando da i luoghi dove si vendevano uccelli, di sua mano cavandoli
di gabbia e pagatogli a chi li vendeva il prezo che n'era chiesto, li
lasciava in aria a volo, restituendoli la perduta libertà. Laonde
volse la natura tanto favorirlo, che dovunque e' rivolse il pensiero,
il cervello e l'animo, mostrò tanta divinità nelle cose sue, che
nel dare la perfezzione, di prontezza, vivacità, bontade, vaghezza e
grazia, nessuno altro mai gli fu pari. Trovasi che Lionardo per
l'intelligenzia de l'arte cominciò molte cose e nessuna mai ne finí,
parendoli che la mano aggiugnere non potesse alla perfezzione de
l'arte ne le cose, che egli si imaginava, con ciò sia che si formava
nella idea alcune difficultà tanto maravigliose, che con le mani,
ancora che elle fussero eccellentissime, non si sarebbono espresse
mai. | E tanti furono i suoi capricci, che filosofando de le cose
naturali, attese a intendere la proprietà delle erbe, continuando et
osservando il moto del cielo, il corso de la luna e gli andamenti del
sole. Per il che fece ne l'animo un concetto sí eretico, che e' non
si accostava a qualsivoglia religione, stimando per avventura assai
piú lo esser filosofo che cristiano. Acconciossi per via di Ser
Piero suo zio nella sua fanciullezza a l'arte con Andrea del
Verocchio, il quale faccendo una tavola dove San Giovanni battezzava
Cristo, Lionardo lavorò uno angelo, che teneva alcune vesti; e
benché fosse giovanetto, lo condusse di tal maniera, che molto
meglio de le figure d'Andrea stava l'angelo di Lionardo. Il che fu
cagione ch'Andrea mai piú non volle toccare colori, sdegnatosi che
un fanciullo ne sapesse piú di lui. Li fu allogato per una portiera,
che si aveva a fare in Fiandra d'oro e di seta tessuta, per mandare
al Re di Portogallo un cartone d'Adamo e d'Eva, quando nel Paradiso
terrestre peccano: dove col pennello fece Lionardo di chiaro e scuro
lumeggiato di biacca un prato di erbe infinite con alcuni animali,
che invero può dirsi che in diligenza e naturalità al mondo divino
ingegno far non la possa sí simile. Quivi è il fico oltra lo
scortar de le foglie e le vedute de' rami, condotto con tanto amor,
che l'ingegno si smarisce solo a pensare come uno uomo possa avere
tanta pacienzia. Èvvi ancora un palmizio, che ha la rotondità de le
ruote de la palma lavorate con sí grande arte e maravigliosa, che
altro che la pazienzia e l'ingegno di Lionardo non lo poteva fare. La
quale opera altrimenti non si fece: onde il cartone è oggi in
Fiorenza nella felice casa del Magnifico Ottaviano de' Medici
donatogli, non ha molto, dal zio di Lionardo. Dicesi che Ser Piero da
Vinci zio di Lionardo, essendo | alla villa, fu ricercato
domesticamente da un suo contadino, il quale d'un fico da lui
tagliato in su 'l podere, aveva di sua mano fatto una rotella, che a
Fiorenza gnene facesse dipignere, e che egli contentissimo e
volentieri lo fece, sendo molto pratico il villano nel pigliare
uccelli e ne le pescagioni, e servendosi grandemente di lui Ser Piero
a questi esercizii. Laonde fattala condurre a Firenze, senza
altrimenti dire a Lionardo di chi ella si fosse, lo ricercò che egli
vi dipignesse suso qualche cosa. Lionardo, arrecatosi un giorno tra
le mani questa rotella, veggendola torta, mal lavorata e goffa, la
dirizzò col fuoco, e datala a un torniatore, di rozza e goffa che
ella era, la fece ridurre delicata e pari. Et appresso ingessatala et
acconciatala a modo suo, cominciò a pensare quello che vi si potesse
dipignere su, che avesse a spaventare chi le venisse contra,
rappresentando lo effetto stesso che la testa già di Medusa. Portò
dunque Lionardo per questo effetto ad una sua stanza, dove non
entrava se non e' solo, lucertole, ramarri, grilli, serpi, farfalle,
locuste, nottole et altre strane spezie di simili animali: da la
moltitudine de' quali, variamente adattata insieme, cavò uno
animalaccio molto orribile e spaventoso, il quale avvelenava con
l'alito e faceva l'aria di fuoco. E quello fece uscire d'una pietra
scura e spezzata, buffando veleno da la gola aperta, fuoco da gli
occhi e fumo dal naso sí stranamente, che e' pareva monstruosa et
orribil cosa. E penò tanto a farla, che in quella stanza era il
morbo de gli animali morti troppo crudele, ma non sentito da
Lionardo, per il grande amore che e' portava alla arte. Finita questa
opera, che piú non era ricerca né dal villano né dal zio, Lionardo
gli disse che ad ogni sua comodità mandasse per la rotella, che
quanto a lui era finita. Andato dunque Ser Piero una | mattina a la
stanza per la rotella e picchiato alla porta, Lionardo gli aperse,
dicendo che aspettasse un poco; e ritornatosi nella stanza acconciò
la rotella al lume in su 'l leggio et assettò la finestra, che
facesse lume abbacinato, poi lo fece passar dentro a vederla. Ser
Piero nel primo aspetto, non pensando alla cosa, subitamente si
scosse, non credendo che quella fosse rotella, né manco dipinto quel
figurato che e' vi vedeva. E tornando col passo a dietro, Lionardo lo
tenne, dicendo: “Questa opera serve per quel che ella è fatta:
pigliatela dunque e portatela, ché questo è il fine, che dell'opere
s'aspetta”. Parse questa cosa piú che miracolosa a Ser Piero, e
lodò grandissimamente il capriccioso discorso di Lionardo; poi
comperata tacitamente da un merciaio una altra rotella dipinta d'un
cuore trapassato da uno strale, la donò al villano che ne li restò
obligato sempre mentre che e' visse. Appresso vendé Ser Piero quella
di Lionardo secretamente in Fiorenza a certi mercatanti, cento
ducati. Et in breve ella pervenne a le mani di Francesco Duca di
Milano, vendutagli CCC ducati da detti mercatanti. Fece poi Lionardo
una Nostra Donna in un quadro, ch'era appresso Papa Clemente VII,
molto eccellente. E fra l'altre cose che v'erano fatte, contrafece
una caraffa piena d'acqua con alcuni fiori dentro, dove oltra la
maraviglia della vivezza, aveva imitato la rugiada dell'acqua sopra,
sí che ella pareva piú viva che la vivezza. Ad Antonio Segni, suo
amicissimo, fece in su un foglio un Nettuno condotto cosí di disegno
con tanta diligenzia, che e' pareva del tutto vivo. Vedevasi il mare
turbato et il carro suo tirato da' cavalli marini con le fantasime,
l'orche, et i noti et alcune teste di dèi marini bellissime. Il
quale disegno fu donato da Fabio suo figliuolo a Messer Giovanni
Gaddi, con questo epigramma: | PINXIT VIRGILIVS NEPTVNVM, PINXIT
HOMERVS DVM MARIS VNDISONI PER VADA FLECTIT EQVOS. MENTE QVIDEM VATES
ILLVM CONSPEXIT VTERQVE VINCIVS AST OCULIS, IVREQVE VINCIT EOS. Fu
condotto a Milano con gran riputazione Lionardo a 'l Duca Francesco,
il quale molto si dilettava del suono de la lira, perché sonasse: e
Lionardo portò quello strumento, ch'egli aveva di sua mano fabricato
d'argento gran parte, accioché l'armonia fosse con maggior tuba e
piú sonora di voce. Laonde superò tutti i musici, che quivi erano
concorsi a sonare; oltra ciò fu il migliore dicitore di rime a
l'improviso del tempo suo. Sentendo il duca i ragionamenti tanto
mirabili di Lionardo, talmente s'innamorò de le sue virtú, che era
cosa incredibile. E pregatolo, gli fece fare in pittura una tavola
d'altare, dentrovi una Natività che fu mandata dal duca a
l'imperatore. Fece ancora in Milano ne' frati di San Domenico a Santa
Maria de le Grazie un Cenacolo, cosa bellissima e maravigliosa, et
alle teste de gli Apostoli diede tanta maestà e bellezza, che quella
del Cristo lasciò imperfetta, non pensando poterle dare quella
divinità celeste, che a l'imagine di Cristo si richiede. La quale
opera, rimanendo cosí per finita, è stata da i Milanesi tenuta del
continuo in grandissima venerazione, e da gli altri forestieri
ancora, atteso che Lionardo si imaginò e riuscigli di esprimere quel
sospetto che era entrato ne gli Apostoli, di voler sapere chi tradiva
il loro Maestro. Per il che si vede nel viso di tutti loro l'amore,
la paura e lo sdegno, o ver il dolore, di non potere intendere lo
animo di Cristo. La qual cosa non arreca minor maraviglia, che il
conoscersi allo incontro l'ostinazione, l'odio e 'l tradimento in
Giuda, sen|za che ogni minima parte dell'opera mostra una incredibile
diligenzia. Avvenga che insino nella tovaglia è contraffatto l'opera
del tessuto, d'una maniera che la rensa stessa non mostra il vero
meglio. La nobiltà di questa pittura, sí per il componimento, sí
per essere finita con una incomparabile diligenzia, fece venir voglia
al Re di Francia di condurla nel regno, onde tentò per ogni via, se
ci fussi stato architetti, che con travate di legnami e di ferri,
l'avessino potuta armare di maniera, che ella si fosse condotta
salva; senza considerare a spesa che vi si fusse potuta fare, tanto
la desiderava. Ma l'esser fatta nel muro, fece che Sua Maestà se ne
portò la voglia, et ella si rimase a' Milanesi. Mentre che egli
attendeva a questa opera propose al duca fare un cavallo di bronzo di
maravigliosa grandezza, per mettervi in memoria l'imagine del duca. E
tanto grande lo cominciò e riuscí, che condur non si poté mai.
Ècci opinione che Lionardo, come dell'altre cose sue faceva, lo
cominciasse perché non si finisse; perché, sendo di tanta grandezza
in volerlo gettar d'un pezzo, lo cominciò, acciò fosse difficultà
di condurlo a perfezzione. Venne al suo tempo in Milano il re di
Francia; onde pregato Lionardo di far qualche cosa bizzarra, fece un
lione, che caminò parecchi passi, poi s'aperse il petto e mostrò
tutto pien di gigli. Prese in Milano Salaí Milanese per suo creato,
il quale era vaghissimo di grazia e di bellezza, avendo begli
capegli, ricci et inanellati, de' quali Lionardo si dilettò molto;
et a lui insegnò molte cose dell'arte, e certi lavori che in Milano
si dicono essere di Salaí, furono ritocchi da Lionardo. Ritornò a
Fiorenza, dove trovò che i frati de' Servi avevano allogato a
Filippino l'opere della tavola dello altar maggiore della Nunziata;
per il che fu detto da Lionardo che volentieri avrebbe fat|to una
simil cosa. Onde Filippino inteso ciò, come gentil persona ch'egli
era, se ne tolse giú; et i frati perché Lionardo la dipignesse, se
lo tolsero in casa, facendo le spese a·llui et a tutta la sua
famiglia. E cosí li tenne in pratica lungo tempo, né mai cominciò
nulla. In questo mezzo fece un cartone dentrovi una Nostra Donna et
una Santa Anna, con un Cristo, la quale non pure fece maravigliare
tutti gli artefici, ma finita ch'ella fu, nella stanza durarono duoi
giorni di andare a vederla gli uomini e le donne, i giovani et i
vecchi, come si va a le feste solenni, per vedere le maraviglie di
Lionardo, che fecero stupire tutto quel popolo. Perché si vedeva nel
viso di quella Nostra Donna tutto quello che di semplice e di bello
può con semplicità e bellezza dare grazia a una madre di Cristo;
volendo mostrare quella modestia e quella umiltà che in una vergine
contentissima di allegrezza del vedere la bellezza del suo figliuolo,
che con tenerezza sosteneva in grembo; e mentre che ella con
onestissima guardatura a basso scorgeva un santo Giovanni piccol
fanciullo che si andava trastullando con un pecorino, non senza un
ghigno d'una Santa Anna che, colma di letizia, vedeva la sua progenie
terrena esser divenuta celeste. Considerazioni veramente dallo
intelletto et ingegno di Lionardo. Ritrasse la Ginevra d'Amerigo
Benci, cosa bellissima; et abbandonò il lavoro a' frati, i quali lo
ritornarono a Filippino, il quale sopravenuto egli ancora dalla morte
non lo poté finire. Prese Lionardo a fare per Francesco del Giocondo
il ritratto di Mona Lisa sua moglie; e quattro anni penatovi lo
lasciò imperfetto, la quale opera oggi è appresso il Re Francesco
di Francia in Fontanableo; nella qual testa chi voleva vedere quanto
l'arte potesse imitar la natura, agevolmente si poteva comprendere,
perché quivi | erano contrafatte tutte le minuzie che si possono con
sottigliezza dipignere. Avvenga che gli occhi avevano que' lustri e
quelle acquitrine che di continuo si veggono nel vivo, et intorno a
essi erano tutti que' rossigni lividi et i peli, che non senza
grandissima sottigliezza si posson fare. Le ciglia per avervi fatto
il modo del nascere i peli nella carne, dove piú folti e dove piú
radi, e girare secondo i pori della carne, non potevano essere piú
naturali. Il naso, con tutte quelle belle aperture rossette e tenere,
si vedeva essere vivo. La bocca, con quella sua sfenditura con le sue
fini unite dal rosso della bocca con la incarnazione del viso, che
non colori ma carne pareva veramente. Nella fontanella della gola,
chi intentissimamente la guardava, vedeva battere i polsi: e nel vero
si può dire che questa fussi dipinta d'una maniera da far tremare e
temere ogni gagliardo artefice e sia qual si vuole. Usòvi ancora
questa arte, che essendo Mona Lisa bellissima, teneva mentre che la
ritraeva, chi sonasse o cantasse, e di continuo buffoni che la
facessino stare allegra, per levar via quel malinconico che suol dare
spesso la pittura a i ritratti che si fanno. Et in questo di Lionardo
vi era un ghigno tanto piacevole che era cosa piú divina che umana a
vederlo, et era tenuta cosa maravigliosa, per non essere il vivo
altrimenti. Per la eccellenzia dunque delle opere di questo
divinissimo artefice, era tanto cresciuta la fama sua, che tutte le
persone che si dilettavano de l'arte, anzi la stessa città intera
intera desiderava che egli le lasciasse qualche memoria. E
ragionavasi per tutto di fargli fare qualche opera notabile e grande,
donde il publico fusse ornato et onorato di tanto ingegno, grazia e
giudizio, quanto nelle cose di Lionardo si conosceva. E tra il
gonfalonieri et i cittadini grandi si praticò che, essen|dosi fatta
di nuovo la gran sala del Consiglio, vi si dovesse dargli a dipignere
qualche opera bella; e cosí da Piero Soderini Gonfaloniere allora di
giustizia, gli fu allogata la detta sala. Per il che volendola
condurre Lionardo, cominciò un cartone alla sala del papa, luogo in
Santa Maria Novella, dentrovi la storia di Niccolò Piccinino
capitano del Duca Filippo di Milano, nel quale disegnò un groppo di
cavalli che combattevano una bandiera, cosa che eccellentissima e di
gran magisterio fu tenuta per le mirabilissime considerazioni che
egli ebbe nel far quella fuga. Percioché in essa non si conosce meno
la rabbia, lo sdegno e la vendetta ne gli uomini che ne' cavalli;
tra' quali due, intrecciatisi con le gambe dinanzi, non fanno men
vendetta coi denti che si faccia chi gli cavalca nel combattere detta
bandiera, dove appiccato le mani un soldato, con la forza delle
spalle, mentre mette il cavallo in fuga, rivolto egli con la persona,
agrappato l'aste dello stendardo, per sgusciarlo per forza delle mani
di quattro, che due lo difendono con una mano per uno, e l'altra in
aria con le spade tentano di tagliar l'aste; mentre che un soldato
vecchio con un berretton rosso gridando tiene una mano nell'aste, e
con l'altra inalberato una storta, mena con stizza un colpo per
tagliar tutte a due le mani a coloro, che con forza digrignando i
denti, tentano con fierissima attitudine di difendere la loro
bandiera; oltra che in terra fra le gambe de' cavagli v'è dua figure
in iscorto, che combattendo insieme, mentre uno in terra ha sopra uno
soldato, che alzato il braccio quanto può, con quella forza maggiore
gli mette alla gola il pugnale, per finirgli la vita, e quello altro
con le gambe e con le braccia sbattuto, fa ciò che egli può per non
volere la morte. Né si può esprimere il disegno che Lionardo fece
negli abiti de' soldati variata|mente variati da lui; simile i
cimieri e gli altri ornamenti, senza la maestria incredibile che egli
mostrò nelle forme e lineamenti de' cavagli: i quali Lionardo meglio
ch'altro maestro fece, di bravura, di muscoli e di garbata bellezza.
La notomia di essi scorticandoli disegnò insieme con quella de gli
uomini, e l'una e l'altra ridusse alla vera luce moderna. Dicesi che
per disegnare il detto cartone fece uno edifizio artificiosissimo,
che stringendolo, s'alzava, et allargandolo, s'abbassava. Et
imaginandosi di volere a olio colorire in muro, fece una composizione
d'una mistura sí grossa, per lo incollato del muro, che continuando
a dipignere in detta sala, cominciò a colare, di maniera che in
breve tempo abbandonò quella. Aveva Lionardo grandissimo animo et in
ogni sua azzione era generosissimo. Dicesi che andando al banco per
la provisione, ch'ogni mese da Piero Soderini soleva pigliare, il
cassiere gli volse dare certi cartocci di quattrini, et egli non li
volse pigliare, rispondendogli: “Io non sono dipintore da
quattrini”. Essendo incolpato d'aver giuntato, da Piero Soderini fu
mormorato contra di lui; perché Lionardo fece tanto con gli amici
suoi, che ragunò i danari e portolli per restituire, ma Pietro non
li volle accettare. Andò a Roma col Duca Giuliano de' Medici nella
creazione di Papa Leone, che attendeva molto a cose filosofiche, e
massimamente alla alchimia, dove formando una pasta di una cera,
mentre ch'e' caminava faceva animali sottilissimi pieni di vento, ne
i quali soffiando, gli faceva volare per l'aria; ma cessando il
vento, cadevano in terra. Fermò in un ramarro, trovato dal
vignaruolo di Belvedere, il quale era bizzarrissimo, di scaglie di
altri ramarri scorticate, ali addosso con mistura d'argenti vivi, che
nel moversi quando caminava tremavano; e fattoli gli occhi, corna e
bar|ba, domesticatolo e tenendolo in una scatola, tutti gli amici a i
quali lo mostrava, per paura faceva fuggire. Usava spesso far
minutamente digrassare e purgare le budella d'un castrato, e talmente
venir sottili, che si sarebbono tenuto in palma di mano. Et aveva
messo in un'altra stanza un paio di mantici da fabbro, a i quali
metteva un capo delle dette budella e, gonfiandole, ne riempiva la
stanza, la quale era grandissima, dove bisognava che si recasse in un
canto chi v'era, mostrando quelle trasparenti e piene di vento, da 'l
tenere poco luogo in principio, esser venute a occuparne molto,
aguagliandole alla virtú. Fece infinite di queste pazzie, et attese
alli specchi; e tentò modi stranissimi nel cercare olii per
dipignere e vernice per mantenere l'opere fatte. Dicesi che gli fu
allogato una opera dal papa, perché subito cominciò a stillare olii
et erbe per far la vernice; perché fu detto da Papa Leon: “Oimè
costui non è per far nulla, da che comincia a pensare alla fine
innanzi il principio dell'opera”. Era sdegno grandissimo fra
Michele Agnolo Buonaruoti e lui; per il che partí di Fiorenza
Michelagnolo per la concorrenza, con la scusa del Duca Giuliano,
essendo chiamato dal papa per la facciata di San Lorenzo. Lionardo
intendendo ciò partí, et andò in Francia, dove il re avendo avuto
opere sue, gli era molto affezzionato, e desiderava ch'e' colorisse
il cartone della Santa Anna; ma egli, secondo il suo costume, lo
tenne gran tempo in parole. Finalmente venuto vecchio, stette molti
mesi ammalato; e vedendosi vicino alla morte, disputando de le cose
catoliche, ritornando nella via buona, si ridusse a la fede cristiana
con molti pianti. Laonde confesso e contrito, se bene e' non poteva
reggersi in piedi, sostenendosi nelle braccia de' suoi amici e servi,
volse divotamente pigliare il Santissimo Sacra|mento fuor de 'l
letto. Sopraggiunseli il re che spesso et amorevolmente lo soleva
visitare; per il che egli per riverenza rizzatosi a sedere sul letto,
contando il mal suo e gli accidenti di quello mostrava tuttavia
quanto avea offeso Dio e gli uomini del mondo, non avendo operato
nell'arte come si conveniva. Onde gli venne un parossismo messaggero
della morte. Per la qual cosa rizzatosi il re, e presoli la testa per
aiutarlo e porgerli favore, acciò che il male lo alleggerisse, lo
spirito suo, che divinissimo era, conoscendo non potere avere
maggiore onore, spirò in braccio a quel re, nella età sua d'anni
LXXV. Dolse la perdita di Lionardo fuor di modo a tutti quegli che
l'avevano conosciuto, perché mai non fu persona che tanto facesse
onore alla pittura. Egli con lo splendor dell'aria sua, che
bellissima era, rasserenava ogni animo mesto, e con le parole volgeva
al sí et al no ogni indurata intenzione. Egli con le forze sue
riteneva ogni violenta furia; e con la destra torceva un ferro d'una
campanella di muraglia et un ferro di cavallo, come s'e' fusse
piombo. Con la liberalità sua raccoglieva e pasceva ogni amico
povero e ricco, purché egli avesse ingegno e virtú. Ornava et
onorava con ogni azzione qualsivoglia disonorata e spogliata stanza;
per il che ebbe veramente Fiorenza grandissimo dono nel nascere di
Lionardo, e perdita piú che infinita nella sua morte. Nella arte
della pittura aggiunse costui alla maniera del colorire ad olio una
certa oscurità; donde hanno dato i moderni gran forza e rilievo alle
loro figure. E nella statuaria fece pruove nelle tre figure di bronzo
che sono sopra la porta di San Giovanni da la parte di tramontana,
fatte da Giovan Francesco Rustici ma ordinate col consiglio di
Lionardo, le quali sono il piú bel getto e di disegno e di
per|fezzione, che modernamente si sia ancor visto. Da Lionardo
abbiamo la notomia de' cavalli e quella degli uomini assai piú
perfetta. Laonde per tante parti sue sí divine, ancora che molto piú
operasse con le parole che co' fatti, il nome e la fama sua non si
spegneranno già mai. Per il che fu detto in un suo epitaffio: VINCE
COSTVI PVR SOLO TVTTI ALTRI; E VINCE FIDIA, E VINCE APELLE, E TVTTO
IL LOR VITTORIOSO STVOLO. Et un altro ancora, per veramente onorarlo,
disse: LEONARDVS VINCIVS. QVID PLVRA? DIVINVM INGENIVM, DIVINA MANVS,
EMORI IN SINV REGIO MERVERE. VIRTVS ET FORTVNA HOC MONVMENTVM
CONTINGERE GRAVISS[IMIS] IMPENSIS CVRAVERVNT. ET GENTEM ET PATRIAM
NOSCIS; TIBI GLORIA ET INGENS NOTA EST: HAC TEGITVR NAM LEONARDVS
HVMO. PERSPICVAS PICTVRAE VMBRAS OLEOQVE COLORES ILLIVS ANTE ALIOS
DOCTA MANVS POSVIT. IMPRIMERE ILLE HOMINVM, DIVVM QVOQVE CORPORA IN
AERE ET PICTIS ANIMAM FINGERE NOVIT EQVIS. Fu discepolo di Lionardo
Giovanantonio Boltraffio milanese, persona molto pratica et
intendente; e cosí Marco Uggioni, che in Santa Maria della Pace fece
il Transito di Nostra Donna e le Nozze di Cana galilee.
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