I personaggi di Roma.
Mauro Goretti |
I personaggi di Roma.
Cesare.
Dopo aver sconfitto Pompeo nella battaglia di Farsalo,
Cesare era divenuto di fatto il padrone di Roma e l’arbitro indiscusso
dell’attività edilizia nella capitale. A
un intervento di ristrutturazione del Foro Romano, fece seguito la costruzione
di un nuovo complesso, il Foro di Cesare, il primo dei fori imperiali. Si trattava di una piazza lunga e stretta che
culminava con il tempio di Venere Genitrice, pretesa capostipite della famiglia Giulia; per
realizzare l’impresa fu necessario acquistare i terreni alle spalle della curia
Cornelia e radere al suolo numerose abitazioni sorte durante la tarda età
repubblicana, sbancando anche una porzione della sella che univa il Campidoglio
al Quirinale. La morte impedì a Cesare
di attuare la parte più grandiosa dei suoi progetti di rinnovamento urbanistico, un ambizioso
piano che prevedeva la deviazione del corso del Tevere, la trasformazione del
colle Vaticano in un nuovo centro monumentale e l’ampliamento della zona
residenziale urbana verso il Campo Marzio.
Negli anni che seguirono immediatamente la sua scomparsa, l’attività
monumentale nei cantieri da lui avviati proseguì comunque senza grandi
variazioni, ugualmente ripartita tra i triumviri, Ottaviano, Marco Antonio ed
Emilio Lepido.
Augusto e Livia.
L’apoteosi di Cesare era uno dei punti di forza della
propaganda augustea, che basava la legittimazione del potere sul fatto di
essere il suo figlio adottivo; con la divinizzazione del padre, a cui aveva
dedicato nel Foro Romano il tempio del Divo Giulio, il primo tempio eretto a
Roma per un mortale divinizzato, Ottaviano poteva definirsi a ragione “divi
filius”. Il programma edilizio di
Augusto a Roma, anche grazie alla disponibilità economica derivata dalla
vittoria su Cleopatra, fu caratterizzato da un’immane opera di restauro degli
edifici sacri, che rientrava nella politica religiosa del principe,
restauratore delle istituzioni repubblicane e di pratiche religiose cadute in
disuso, e dalla realizzazione di un grande progetto di trasformazione urbana
del Campo Marzio. Ma ad Augusto si deve
soprattutto la riorganizzazione amministrativa di una città nella quale
vivevano almeno 700.000 persone. Roma fu
divisa in quattordici regioni, affidate ognuna a un magistrato annuale eletto
per sorteggio, che coprivano un’area molto più vasta di quella racchiusa nelle
vecchie mura repubblicane e che divennero la base di tutta la rete di
manutenzione e gestione dei servizi e delle infrastrutture. L magistrature tradizionali furono
risistemate, vennero creati nuovi uffici, come i vigili del fuoco, e furono
emanate leggi che codificavano gli interventi di edilizia urbana limitando, per
esempio, l’altezza degli edifici sul fronte della strada a 70 piedi, pari a una
casa di sei o sette piani.
Virgilio e Mecenate.
Mecenate fu per decenni l’amico fidato e il consigliere di
Augusto e svolse un ruolo fondamentale nell’organizzazione della sua propaganda
politica. Grande amante e cultore delle
arti,uomo raffinato e colto, egli aveva ben compreso quanto fossero importanti
l’arte e la letteratura nella raccolta dei consensi verso il nuovo principe. Intorno a Mecenate si raccolse un’ampia schiera di intellettuali e letterati
che egli aiutava con doni e aiuti
finanziari e stimolava verso mete sempre più elevate per raggiungere quella
“grande letteratura” che ha bisogno di diversi generi, primo tra tutti il poema
epico. Il grande patronato esercitava da
Mecenate da cui deriva il moderno concetto di “mecenatismo” e da altri
personaggi intelligenti e influenti furono aspetti fondamentali della temperie
intellettuale dell’epoca: sembrava finalmente che dal lavoro comune nascesse
una nuova figura riconosciuta, quella del poeta come elemento utile della
società. I poeti venivano ora chiamati a
fare proposte, a esprimere speranze e a proporre modelli come Virgilio che
nelle “Georgiche” si assume il compito di descrivere una sorta di progetto
morale. L’Eneide, il capolavoro
virginiano, pur composta seguendo l’arcaico modello dei poemi omerici, è
un’opera moderna, nella quale i dati della leggenda vengono riformulati
organicamente per consacrare nella figura di Enea il capostipite della famiglia
di Cesare e il fondatore della stirpe e della potenza dei romani.
Seneca e Nerone.
Di Nerone conosciamo ambiziosi progetti non realizzati come
il taglio dell’istmo di Corinto e la creazione di un canale di collegamento tra
Ostia e Roma, ma i segni indelebili della sua opera sono rimasti soprattutto
nella capitale dell’impero, quella “nuova Urbe” che il principe volle riedificare
dopo il devastante incendio del 64, e che probabilmente ha segnato il punto di
partenza per le grandi pianificazioni urbanistiche messe in atto nei secoli
seguenti. Per la prima volta Roma venne dotata di un piano
regolatore che normava riprendendo anche vecchie leggi cadute in disuso
l’attività edilizia nei diversi quartieri con prescrizioni spesso legate alla
prevenzione degli incendi, come la limitazione in altezza degli edifici, la
necessità di usare regole e coppi per la copertura dei tetti e l’obbligo di
lasciare un’area di rispetto intorno ad ogni casa. Ma l’intervento più noto di Nerone venne
attuato in maniera radicalmente opposta, attraverso una serie di impopolari
provvedimenti di demolizione di edifici pubblici, di confische e di espropri di
case private tesi a ricavare l’immenso terreno necessario alla costruzione
della “Domus Aurea”, la sua nuova reggia nel cuore della città. La dimora, articolata in appartamenti privati
e pubblici riccamente decorati e realizzati spesso con ardite soluzioni
architettoniche, aveva come centro un vasto stagno.
I Flavi.
Durante il suo regno Vespasiano si adoperò soprattutto per
restituire alla cittadinanza l’enorme area che Nerone aveva occupato con la
costruzione della “Domus Area”; la suntuosa dimora venne smantellata e parte
delle sue strutture furono destinate a uso pubblico, come l’impianto termale
ristrutturato in seguito da Tito.
L’intervento più consistente fu però l’edificazione, nell’area occupata
prima dallo stagno della reggia neroniana, di un anfiteatro, il Colosseo, necessario
anche per sostituire quello di Statilio Tauro distrutto nell’incendio del 64 a.
C. Al regno di Vespasiano risale anche
la costruzione del tempio della Pace,
eretto per celebrare la vittoria dei romani sugli ebrei e il raggiungimento di
una nuova pacificazione; qui vennero raccolte numerose opere d’arte sottratte
da Nerone in diversi templi della Grecia e i pezzi più belli del bottino
ricavato dalla presa di Gerusalemme. Per
l’età flavia abbiamo testimonianze certe di una consistente attività di
rinnovamento dell’amministrazione urbana e di interventi di riorganizzazione
catastale, documentati anche dall’estensione dei limiti del pomerio, il confine
religioso della città. A Domiziano si
deve, inoltre, il definitivo consolidamento della dimora imperiale sul Palatino
che, salvo qualche ristrutturazione e rifacimento, sarebbe rimasta l’inalterata
residenza degli imperatori.
L’Esercito romano.
Le armate di Roma, che di fatto furono il primo vero
esercito professionale della storia, mantennero a lungo un’indiscussa
superiorità su tutti i nemici e, nonostante i lunghi periodi di quasi totale inattività, continuarono a
evolversi tecnicamente e conservarono un grado di addestramento che permise
loro per alcuni secoli di far fronte con efficacia a improvvise nuove
minacce. Le legioni, venticinque alla
morte di Augusto, erano diventate trentatré sotto Settimio Severo, quando,
secondo stime approssimative, la consistenza numerica complessiva dell’esercito
doveva aggirarsi tra le quattrocento e
le cinquecentomila unità, al comando di circa cinquemila centurioni e cinque o
seicento ufficiali superiori. Questi
ultimi erano nominati direttamente dall’imperatore e il più delle volte erano
dilettanti che svolgevano il loro servizio per un tempo limitato, solo come
tappa necessaria a una promozione nella ordinaria carriera di magistrati. Per soldati semplici e ufficiali di grado
inferiore, invece, la ferma durava circa venticinque anni, durante i quali era
vietato sposarsi, anche se spesso i militari si univano a donne del luogo,
mettendo su famiglie di fatto che vivevano in nuclei abitati sorti intorno alla
caserma; quasi sempre, alla fine del servizio, i veterani rimanevano sul posto,
riunendosi con le loro donne e i loro figli.
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